Musical e varietà
IMPEMPE YOMLINGO - THE MAGIC FLUTE

Mozart va in Sudafrica

Mozart va in Sudafrica

Impempe Yomlingo non è esattamente una versione sudafricana del Flauto magico mozartiano, piuttosto è il Flauto visto attraverso una lente sudafricana, una lente colorata, portatrice di gioia. La partitura è originale (seppure ridotta alle necessità dello spettacolo), suonata interamente dalle otto marimbe allineate ai lati della pedana, alle quali si aggiungono un paio di tamburi e suggestioni varie. Come la tromba che dà voce al flauto di Tamino, oppure le bottiglie di vetro suonate con le forchette in luogo del glockenspiel di Papageno, oppure un corno di kudu come segnale di festa.  Tutto avviene sotto la bacchetta di Mandisi Dyantyis scalzo, in t-shirt e pantaloni mimetici.
Un Flauto magico che è una festa di suoni, di colori, di danze, di costumi immaginifici ma semplici, di gesti elementari ma suggestivi (come le braccia di Pamina e i tre Spiriti che si muovono come proboscidi). Una favola ri-raccontata, mantenendone gli snodi narrativi, le caratteristiche dei personaggi, oltre ovviamente la musica. Una favole ri-innervata di nuova linfa vitale che si scatena sul palco e contagia il pubblico.

La storia è mantenuta nel suo dipanarsi, Mark Dornford-May (adattatore e regista) non ha fatto altro che calare i personaggi nella forza e nei caratteri dei cantanti-attori sudafricani. I due atti raccontano un mondo in cui c'è la presenza della notte che cerca di avere maggiore spazio, un mondo in cui alla fine la calda luce solare vince su tutto. Il viaggio verso la conoscenza impone la conoscenza di sé e dunque la tolleranza, la compassione: solo così si può sperare di avere una qualche illuminazione.

Tamino ha lunghe treccine e abbigliamento colorato; nel momento delle prove viene sottoposto a riti che assomigliano a quelli tribali di passaggio all'età adulta, situazioni in cui si dimostra coraggio (viso dipinto, conchiglie adornano il corpo). Il pingue Papageno ha la mimetica da cacciatore; gli uccelli hanno la tutina rosa e la scritta “bird” sulla schiena. Papagena è una donna “di stampo tradizionale” (così la definirebbe la signora Ramotswe, protagonista dei romanzi di Alexander McCall Smith). La Regina della notte appare accompagnata da una falce di luna al neon, assomiglia a un'apparizione nella savana e interpreta in modo personale le agilità del ruolo. Gli Spiriti sono tre ragazze che alternano tailleur con minigonna e borsettina anni Sessanta a babydoll rosa piumati ad abiti tradizionali; il loro canto si stinge nel gospel. Sarastro è un capotribù nell'abbigliamento e nel tenere consiglio agli uomini radunati in cerchio nella “meeting tend”. Pamina è una ragazzina innocente, innamorata, pacioccona. Ci sono anche Monostato, le tre Dame, i due Sacerdoti, oltre uomini e donne in un contorno in perenne trasformazione.

I cantanti della Eric Abraham-Isango Ensemble, anche musicisti e ballerini, sono in palco scalzi e tutti straordinari nella presenza, nelle movenze, nella prova canora e attoriale (recitativi in inglese con qualcosa in tswana). La scena è composta da una pedana inclinata di legno con intorno lamiera ondulata, tubi innocenti e bidoni, a rimandare alla coesistenza della periferia urbana agli spazi immensi della savana e dei boschi australi. Perfette le luci, come i costumi che rimandano al Sudafrica senza dimenticare Mozart. Tra l'altro nel programma di sala è riportata un'antica storia popolare tswana che racconta di un uccello delle tempeste che causa morte e distruzione e che può essere scacciato solo da un uomo coraggioso che suona il flauto.

Lo spettacolo strappa il sorriso e l'applauso ma anche commuove. Teatro gremito, un trionfo: spettatori in preda a vera gioia durante gli interminabili applausi.

Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)