Prosa
IO, L'EREDE

San Severino, teatro Feronia,…

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San Severino, teatro Feronia, “Io, l'erede” di Eduardo De Filippo A CHI CONVIENE LA CARITA'? La famiglia Selciano è dedita da sempre alla carità, senza considerare che “la carità, oltre certi limiti, pesa”. Doni distribuiti ai poveri, visite in ospedale, orfani allevati come figli (invero come servi, piuttosto) e ospitalità in casa per ben 37 anni a Prospero Ribera. Ma, quando egli muore, i Selciano si ritrovano in casa il figlio che reclama l'eredità paterna, cioè il posto in famiglia e il patrimonio di sentimenti di cui il padre era destinatario. Ludovico Ribera assume così il ruolo del beneficato, “altrimenti non esisterebbe benefattore: in Paradiso ci va il benefattore, che deve raccogliere ingratitudine e porgere l'altra guancia” ottemperando a una legge distributrice superiore. Infatti “il beneficato odia il benefattore, che crede di comprarselo per farne cosa sua, ma la carità cristiana non c'entra nulla, è solo desiderio di possesso”, è “carità pelosa”. Questa è la tesi sostenuta da Eduardo De Filippo nella pièce del 1942 riscritta in italiano nel 1972 e raramente rappresentata. Vi si colgono elementi dell'Eduardo maggiore, il fondo amaro di risentimento sociale, il ritratto ipocrita di famiglia borghese, le macchiette ed il credibile sfondo quotidiano, ma ci sono echi del laicismo pirandelliano. Andrée Ruth Shammah l'aveva già messo in scena dieci anni fa e lo riprende nello stesso impianto scenico di Gianmaurizio Fercioni, una scatola bianca abbacinante con due aperture in fondo e un ritratto di Eduardo appeso in cornice, un interno decadente in cui affiorano e si scontrano ipocrisie, rancori e falsi moralismi. La famiglia viene messa sotto accusa dall'erede, il quale ne svela i vizi nascosti. La regista parte da un'ipotesi di realismo ma va oltre, verso toni surreali non forzati né eccessivi, sottolineati dagli inquietanti rumori di sottofondo. Prova attoriale degna di nota per Geppy Gleijeses, tornato a San Severino dopo 10 anni. Nell'ottobre 1997 aveva aperto la stagione con “Una bomba in ambasciata” per la regia di Mario Monicelli, personalmente presente perchè era una residenza di allestimento: all'epoca il Feronia era l'unico teatro agibile della zona terremotata e, nonostante due scosse nel pomeriggio, il Feronia era pieno, motivo per cui Monicelli e Gleijeses salirono sul palco per ringraziare i cittadini e partecipare la loro vicinanza in un momento difficile che si cercava di alleviare con la cultura. Gleijeses è un ironico e perfido Ludovico, l'uomo del mistero, giornalista e uomo di mare dall'anima nera e dal ragionamento lucido e ineccepibile, sorretto da una inattaccabile capacità oratoria, vicino a Chaplin nelle movenze. Milvia Marigliano scava nel personaggio di Dorotea Selciano, una figura caricaturale e triste per la solitudine che l'accompagna. Molto divertente Gabriella Franchini, la svampita Margherita, campionessa di solidarietà solo a parole, perchè regala alla domestica una rosa che puzza. Umberto Bellissimo è un misurato, credibile Amedeo. Brava ma registicamente troppo virata alla macchietta la serva Caterina di Margherita Di Rauso. Estranea al contesto Marianella Bargilli (una bella Adele). Deludente la Bice inespressiva di Valentina Tonelli. Con loro Antonio Ferrante e Ferruccio Ferrante, l'amministratore e il maggiordomo. Delusione tra gli spettatori, che aspettavano di vedere in scena Leopoldo Mastelloni nei panni femminili di zia Dorotea, come era stato annunciato. Visto a San Severino Marche (MC), teatro Feronia, il 15 marzo 2008 Francesco Rapaccioni
Visto il
al Verdi di Gorizia (GO)