Un debutto importante

Un debutto importante

Dopo un prima rappresentazione come studio-monologo che gli è valso diversi premi teatrali* Io, mai niente con nessuno avevo fatto  di Joele Anastasi ha debuttato a Roma al teatro Spazio Uno in un nuovo allestimento a più voci nel quale al giovane autore, nonché interprete e regista, si sono affiancati Federica Carruba Toscano ed Enrico Sortino.

Da questo incontro artistico è nata la compagnia Vuccirìa Teatro  diretta da Anastasi e Sortino che opera tra la Sicilia e Roma.

Oltre a Io, mai niente con nessuno avevo fatto che, dopo il debutto romano, verrà replicato a Catania (dal 19 al 21 aprile p.v.) e Palermo (il 26 e 27 aprile in quel luogo  d'eccellenza che è il Teatro Montevergini) la compagnia sta già lavorando a un nuovo progetto, Battuage, del quale vedremo un primo studio a Roma, al Teatro dell'orologio il prossimo 4 maggio. 

Anastasi e Sortino hanno le idee chiare sul tipo di teatro che vogliono fare mettendo al centro della drammaturgia l'attore, spogliato da qualunque cosa, in un “essenzialismo” scenico che spinge gli interpreti ad agire come “animali”: uno specchio e un veicolo per raccontare quegli stessi personaggi che sono “bestie” ai margini di una società. Anche quando questo margine diventa sempre più grande. Anche quando questo margine diventa sempre più la società stessa come si legge sulle note di presentazione della compagnia.

Un'idea di Teatro che si riscontra in Io, mai niente con nessuno avevo fatto che  presenta gli attori e l'attrice in scena senza alcuna scenografia, con l'eccezione di una cassapanca posta sul fondale di quinta, col solo ausilio di una luce che alternatamente li illumina, dall'alto o frontalmente, moltiplicando il nucleo originario del monologo per ognuno dei tre interpreti/protagonisti, i quali, sempre presenti in scena, non interagiscono in un vero e proprio dialogo (tranne un breve prologo) ma  raccontano la loro storia e le loro vicissitudini ora
direttamente al pubblico, ora in intimi soliloqui, dai quali traspaiono le loro emozioni e aspirazioni. 


Un racconto fatto in una lingua che è il risultato di una splendida fusione tra italiano e catanese con una pronunzia attenta a restituire tanto gli accenti dialettali quanto la dizione italiana.

Protagonisti della piéce sono Giovanni, un giovane naïf ed effeminato al quale piacciono i ragazzi, Rosaria, la cugina con la quale Giovanni è cresciuto e Giuseppe, un giovane uomo, insegnante di danza, col quale Giovanni scopre i piaceri del sesso.

Nel succedersi e alternarsi dei loro racconti il testo ci presenta una precisa antropologia che i personaggi subiscono e nella quale agiscono.

Un'antropologia basata sul sopruso e sull'abuso del sesso, quello mercenario della madre di Giuseppe, che si prostituisce e fa prostituire una delle sorelle di Giuseppe, facendola iniziare, poco più che bambina, dal cugino Carmelo; quello punitivo di Carmelo, che stupra Giuseppe da adolescente dopo averlo sorpreso a spiarlo, mentre Carmelo si masturbava, eccitato e fisicamente attratto da lui.

Un abuso che induce a sua volta Giuseppe alla violenza: quando Carmelo vuole approfittarsi ancora di lui, coinvolgendo anche i suoi fratelli in uno stupro di gruppo, Giuseppe si difende mettendo mano al badile.


Un'antropologia nella quale il sesso è strumento di potere, e di piacere, slegato dai sentimenti che rimangono repressi, latenti, mai nominati. 

Un sesso vissuto mai davvero pienamente anche nel caso di Rosaria che si concede a tutti i ragazzi che vengono a chiamarla lanciandole dei sassolini alla finestra, che non le impedisce di subire violenza a sua volta. 

Giovanni, la sera che la cugina torna a casa piena di lividi non esita ad affrontare i ragazzi che l'hanno aggredita, venendo  picchiato a sua volta, salvato in extremis dall'arrivo della madre e della zia.

Una antropologia segnata dall'assenza di figure paterne (il padre di Giuseppe è in carcere per avere ucciso il fratello, quelli di Rosaria e Giovanni non sanno nemmeno della loro esistenza) e che vuole che l'onta che fa di Giovanni lo zimbello di tutti, il puppo da prendere in giro, non è di per sé il sesso praticato con altri uomini, ma l'effeminatezza, la passività, la visibilità della sua diversità. Viceversa Giuseppe si sottrae al ludibrio conformandosi allo stereotipo di genere e sposandosi con una ragazza sciocca concedendosi poi tutto il sesso che vuole coi ragazzi che passano alla scuola di danza dove insegna, come ci racconta lui stesso. 

Una sessualità che nella piéce si fa anche strumento del destino.
Giovanni si scopre non solo sieropositivo, ma in aids conclamato. E quando avverte Giuseppe del suo stato di salute, l'uomo
nonostante gli abbia trasmesso lui il virus, visto che Giovanni, prima di lui, mai niente con nessuno aveva fatto, Giuseppe lo accusa di averlo fatto ammalare, minaccia di volerlo uccidere e ammette, tra le lacrime, che stava iniziando a provare qualcosa per lui, tradendo così le vere ragioni del suo odio.

Anastasi è preciso e lucido nell'identificare la mentalità patriarcale del maschio siciliano dalla quale, nella piéce, non sono immuni nemmeno le donne.

In una delle scene più belle  Giuseppe e Rosaria raccontano un diverso momento trascorso con Giovanni. 

Per Giuseppe si tratta della prima volta in cui lo seduce, facendolo spogliare e invitandolo a muovere il sedere in un gesto di danza, prima, e di sesso, poi. 

Per Rosaria si tratta della volta in cui fa spogliare Giovanni per fargli indossare degli abiti femminili,  per gioco, perchè Giovanni è bello pure da fimmina, e perchè, visto che è puppo, lo considera sessualmente innocuo (una volta, da piccoli, lei gli aveva mostrato le minne e Giovanni invece che dal desiderio era stato sopraffatto dall'imbarazzo).

Il doppio racconto di Rosaria e di Giuseppe si alterna e si sovrappone in scena dando agli stessi movimenti di Giovanni - che vediamo denudarsi, ballare di schiena e poi infilarsi un vestito da sposa  -  un contemporaneo e diverso significato, in una elegante sintesi scenica.  

Giovanni si concede a entrambi  perchè si fida, perchè li ama, perchè si dà con una generosità che è anche quella dell'interprete che si spoglia davvero.

L'epilogo dello spettacolo, che non vogliamo rivelare, acquista così un ulteriore significato facendo di Giovanni una vittima, prima ancora che dell'odio omofobico o dell'aids,  della smania di controllo da arte di Giuseppe e di Rosaria perchè Giovanni è libero come loro non sono né potranno
essere mai. 


In Io, mai niente con nessuno avevo fatto gli effetti del patriarcato non si iscrivono nella sprovvedutezza di un sottoproletariato divenuto improvvisamente piccola borghesia, sprovvisto di strumenti culturali per muoversi in un orizzonte economico passato dal regime agricolo a quello post industriale, come in Pasolini, rimanendo invece tutto dentro all'impossibilità dei personaggi di cambiare.
I personaggi di Anastasi per sua stessa ammissione sono
“bestie” ai margini di una società e, aggiungiamo noi, impossibilitati a cambiare per via di un pessimismo ancora più radicale di quello verghiano.

Se in Verga lo scandalo dei personaggi consiste infatti nel loro tentativo di cambiare classe sociale (tentativo condannato al fallimento) in Anastasi lo scandalo scaturisce direttamente dalla loro cifra esistenziale, dal loro essere sempre uguali a se stessi, totalmente privi di velleità di cambiamento (anche Rosaria, nonostante vagheggi un viaggio in continente che nel finale compie per ben altri motivi).  

Posti al di fuori della Storia, assolutizzati in un orizzonte tra il mitico e l'epico Rosaria Giovanni e Giuseppe non hanno una vera funzione di denuncia, non essendo capaci di cambiare non importa le vicissitudini che hanno affrontato.

Pur subendo le conseguenze del patriarcato, vivendo una sessualità mai davvero libera  perchè repressa, nonostante abbia sperimentato il potere devastante del sesso su di sé e anche sulla sorella (che gli sorrise quando la vede iniziata al sesso da Carmelo, lui che voleva intervenire per difenderla) Giuseppe non si
libera dei tabù sessuali continuando anzi a sostenerli nella sua pretesa di non essere puppo perchè lui i masculi mica li ama, ama solo le fimmine

Anche il sesso agito da Rosaria non la emancipa ma le fa subire le vessazioni dei ragazzi che la vengono a visitare senza che la discriminazione maschilista che non le concede la stessa libertà  sessuale dei ragazzi facendola passare per una ragazza facile la emancipi dalla necessità di avere quei corteggiatori. 

Entrambi portatori di una ideologia che miete altrettante vittime dell'aids Giuseppe e Rosaria si muovano negli angusti confini del patriarcato non per conformismo ma per una immutabile condizione esistenziale fatta di ferinità.

La libertà di Giovanni, scevro da qualunque sovrastruttura che gli fa vivere il sesso nella sua spudorata innocenza, è una libertà istintiva, selvaggia, priva di qualunque implicazione politica, nel senso di vita nella città, cioè della interrelazione sociale.  

Posti in questo orizzonte mitico e a-storico alcuni elementi dell'antropologia che fa da motore alla storia raccontata appaiono non completamente risolti.

La disinvoltura con cui la madre di Giuseppe introduce la figlia alla prostituzione, l'accondiscendenza della ragazza alla prostituzione, l'arrendevolezza con la quale Rosaria si concede ai ragazzi, rischiano di apparire come predisposizione naturale delle donne gettando un'ombra sinistra di misoginia sulla pièce. 

Una misoginia all'ombra della quale va letto anche il matriarcato in cui Giovanni è cresciuto, matriarcato, tra madre e zia, nel quale la sua effeminatezza acquista un significato altro: sono proprio le due donne a sottrarlo al pestaggio degli aggressori di Rosaria, come a voler ratificarne l'ammanco di autorità per la sua effeminatezza, anche se Rosaria ne riconosce il coraggio, un coraggio potenziale ma non efficace.

La parabola di Giovanni che contrae l'hiv dalla prima persona con la quale fa sesso è poco plausibile perchè la sieropositività diventa aids conclamato troppo in fretta a differenza di Giuseppe che fa sesso da molti più anni di lui.

Se Giovanni è davvero malato (la conclamazione è la comparsa di sintomi di qualche malattia opportunistica) è poco probabile venga dimesso dall'ospedale e venga affidato alle cure di Rosaria (cure che prevedono la somministrazione di sedativi per farlo riposare...).

E' evidente che se la piéce ci parla di prostituzione o di aids non lo fa per una vocazione per il teatro civico, di denuncia, per militanza insomma, come pretendono invece le note di drammaturgia o come induce a pensare il consistente numero di patrocini** che sono stati dati allo spettacolo. 

Fosse così
Io, mai niente con nessuno avevo fatto ci ricorderebbe che la prostituzione consiste in una vera e propria tratta delle schiave fatta dagli uomini, e non in una scelta femminile, e che il contagio da Hiv è la conseguenza di un comportamento sessuale a rischio, non di esclusivo appannaggio
dell'omosessualità e soprattutto non un viatico di morte certa.


Io, mai niente con nessuno avevo fatto ci parla di questi argomenti  per seguire una vocazione squisitamente teatrale e letteraria, con una scrittura dal linguaggio altamente emotivo e privo di eccessi barocchi o di retorica, che sa rimanere poetico anche quando racconta i dettagli più prosaici (i sassolini lanciati dai ragazzi che vengono a cercare Rosaria, la scoperta del sesso anale da parte di Giovanni che lo porta in paradiso) la cui messinscena sa sviluppare la forma monologo portandolo verso in dinamiche narrative innovative ed efficaci, cui si aggiunge la bravura di Joele Anastasi, Federica Carruba Toscano ed Enrico Sortino  che sanno donarsi ai personaggi che interpretano con grande generosità.

Perchè la compagnia Vuccirìa ama il teatro e sa farlo molto bene.


* Vincitore del concorso “I monologhi dell’Ambra” - Teatro Ambra alla Garbatella di Roma
Secondo classificato al concorso "Autori nel Cassetto, Attori sul Comò" - Teatro Lo Spazio di Roma
Finalista al "Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro" - Udine

Terzo Classificato al “Festival Potenza Teatro – Teatro F. Stabile Potenza”

**Lo spettacolo ha ricevuto il patrocinio della LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids), di Roma Capitale, dell'Arci Gay, Andos (Associazione Nazionale contro le Discriminazioni da Orientamento Sessuale), del Di’Gay Project, del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli,  del Gay Center e di Gaycs Dipartimento LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender) di Aics - Associazione Italiana Cultura Sport.