Molti gli spettacoli che hanno lasciato un segno indelebile in questa sedicesima edizione di “MilanoOltre”, festival di danza che esplora le nuove tendenze della danza contemporanea in Italia e all’estero, iniziato lo scorso mese di ottobre e terminato nel mese dicembre. Due i luoghi deputati degli spettacoli che si sono svolti sia nelle varie sale del Teatro Elfo Puccini di Corso Buenos Aires che alla DanceHaus diretta da Susanna Beltrami in via Tertulliano.
Tra i numerosi spettacoli ospiti, dei quali abbiamo già riferito, ne abbiano selezionati alcuni visti e in particolare “Io sono figlio” della Compagnia Sanpapiè andato in scena alla Dancehaus con la coreografia di Laura Guidetti e la drammaturgia di Marco Di Stefano e “Belmonte” della Gelabert Azzopardi Companya de Dansa.
Per quanto riguarda quest’ultimo evento è da segnalare che a “MilanoOltre” è arrivato quest’anno uno degli spettacoli più significativi della scena contemporanea firmato dalla coreografia e della regia di Gelabert Azzopardi. Questo artista ha reso la compagnia uno dei punti di riferimento della danza contemporanea in Spagna per la sua carica innovativa. Pur trattandosi infatti di uno spettacolo datato che risale al 1988, la novità è che nella sala Shakespeare dell’Elfo di Milano ha ripreso vita un balletto che sicuramente ha segnato la storia della danza spagnola per aver saputo creare un forte legame tra tradizione e modernità
.Lo spunto che originariamente ha dato vita a questo lavoro, è stato infatti quello di mettere in scena attraverso continui richiami alla danza spagnola e al flamenco, un evento spettacolare come la corrida.
nel quale i temi dell’amore e della morte, del sangue e della passione , della religione e dei riti pagani, si mescolano dando vita ad una perfomance che unisce l’agilità del movimento alla forza fisica, l’aggressività all’armonia. La corrida può essere definita una sorta di danza di morte, dove il toreador, in questo caso Juan Belmonte celebre torero vissuto tra il 1892 e il 1932 e al quale lo spettacolo di Gelabert si ispira mutuando il suo nome, sosteneva che ciò che importa è che l’intima emozione della tauromachia traspaia attraverso il gioco del combattimento.
Un’opera sulla relazione tra ragione e istinto, tra vita e morte. “Solo se siamo in grado di confrontarci e lottare con la bestia che portiamo dentro - spiega Gelabert - potremo fare del nostro movimento una danza”.
Sulla musica percussiva e ripetitiva creata appositamente da Carles Santos e interpretata dalla Banda Lira Amposita, la parte del toro che combatte e nello stesso tempo sembra quasi amoreggiare con il toreador stesso, è interpretata da sei danzatori maschi che con la loro agilità, a petto nudo, inguainati in calzamaglia nere aderenti, riescono a rendere efficacemente la forza e l’agilità del toro. In alcuni momenti il rapporto che si crea sulla scena tra il torero e il toro, sembra essere quello che si stabilisce tra un insegnante di danza e si suoi allievi durante una lezione. Il maestro mostra i movimenti e gli allievi li ripetono, così Belmonte sembra voler sfidare in bravura il suo toro, attraverso la ripetitività dei movimenti.
Nella versione del 1988 la parte del toro era interpretata da quattro danzatori mentre in quella del 1992 era stata affidata ad un cast misto di uomini e donne. All’inizio Cesc Gelabert compare in scena da solo e si esibisce in un intenso assolo di una ventina di minuti, nel quale ben si immedesima della vita di questo personaggio. Non a caso infatti Juan Belmonte García, soprannominato El Pasmo de Triana (Siviglia, 14 aprile 1892 – Utrera, 8 aprile 1962), è stato un torero spagnolo, considerato il fondatore del toreo moderno è uno dei toreri più famosi di tutti i tempi.
La sua carriera si sviluppò tra il 1913 ed il 1936, quando si ritirò definitivamente dopo aver già abbandonato l'attività due volte, nel 1922 e nel 1934. Nel 1919 fu il protagonista di ben 109 corride, una cifra record che non fu superata per alcuni decenni.
Di sicuro impatto nella dinamica del balletto, è la presenza dell’unica figura femminile interpretata da Virginias Gimeno che sembra essere una sorta di divinità, un madonna che viene venerata dal torero e dallo stesso toro. La figura femminile entra in scena indossando un costume che richiama la forma di una stella marina, si muove all’interno di una sorta di gabbia rete nella quale sembra essere imprigionata.
Di tuttt’altro registro lo spettacolo della compagnia Sanpapiè, intitolato “Io sono figlio” una partitura di teatrodanza ad alto tasso di energia e ironia per tre performer (Lara Guidetti, Francesco Pacelli e Federico Melca) che in scena fanno esplodere il conflitto fra generazioni, da una parte figli cresciuti a patatine e tv, dall' altra padri assenti che reclamano continuità di discendenza. Un conflitto visto con gli occhi di chi sceglie di ripartire da zero: orfano perché ha deciso di esserlo. Un ugno allo stomaco che colpisce direttamente lo spettatore il quale incassa e riflette.