Irène Némirovsky è una scrittrice francese di origini russe, arrestata e internata dai nazisti ad Auschwitz nel 1942 perchè ebrea, dove morirà di tifo un mese dopo l'internamento.
Nella drammaturgia di Alberto Bassetti e Massimo Vincenzi le vicissitudini di Némirovsky diventano una storia da raccontare con rabbia sgomenta, con malcelata incredulità, facendole parlare la lingua di oggi (Irène si riferisce all'Europa come a una culla della civiltà che non era certo il sentimento che si viveva tra le due guerre) per spiegare e ricordare, ancora, una storia che si vorrebbe archiviare e consegnare alla compagine delle vicende metabolizzate e date per acquisite.
Il monologo magmatico e caotico è quello della voce interiore di Irène restituendone le emozioni del presente (la prigionia dell'internamento, la malattia che indebolisce e conduce alla morte) i ricordi dell'immediato passato (la censura della sua opera di scrittrice, scomparse dalle librerie della Francia collaborazionista) e quelli della sua infanzia, allargando il monologo nel respiro dei ricordi ai dialoghi con il figlio e la figlia, il marito Michel Epstein - che cercherà invano di farla liberare, e verrà mandato a morire nelle camere a gas di Auschwitz nel novembre dello stesso anno -, la madre e alcuni conoscenti.
Un'affabulazione potente e inesorabile quella del testo di Bassetti e Vincenzi che non lascia tregua e non concede riposo all'interprete, una magnifica Francesca Bianco che si districa tra le spire di un monologo impegnativo incalzata da una regia altrettanto energica che la strema con l'uso di musiche che piuttosto che sostenere il portato della recitazione si fanno un vero e proprio agente di disturbo che Bianco resiste e vince con una abilità sorprendente.
Un'altra interprete soccomberebbe ma non Francesca Bianco che affronta il monologo con squisita determinazione in una sfida col regista, e con il testo, che la vede dominare la materia drammaturgica con una disinvoltura pari alla generosità con cui si dona e si lascia spossare da un personaggio le domanda tutto quello che ha e nulla di meno.
Formalmente presentato sotto forma di lettura, il testo sul leggio (ma Bianco entra in scena già recitando prima di arrivare alle pagine scritte), la scena buia e spoglia nella quale solo il volto le viene illuminato, qualche didascalia informativa a inizio e fine spettacolo, proiettata sul fondale di quinta, più una foto di Auschwitz che campeggia cupa alle spalle dell'interprete, Irène Némirovsky diventa nelle mani di Bianco - che per tutta la durata del monologo fa respirare la sala gremita (sold out) del teatro Belli in simbiosi con lei - e di Lerici un rito collettivo di empatica celebrazione della memoria e dello sdegno per la morte di Némirovsky perchè non ci si assuefi mai a una mostruosità che resta purtroppo dietro l'angolo pronta a riaffacciarsi sulla scena della Storia.
Extra
IRENE NEMIROVSKY
Al di là della lettura
Visto il
28-04-2013
al
Belli
di Roma
(RM)