La cosa difficile è mettere in discussione le teorie quando ci si vive dentro. Facile è invece deriderle quando sono ormai passate di moda. Ma quando tutti intorno agiscono in conformità a un modus operandi, quando tutti intorno accettano che una determinata cosa sia reale, quando tutti pensano allo stesso modo, occorre grande coraggio e tenacia per affrontarli. E si diventa fragili. Più si è innovativi più si è fragili.
E Galileo Galilei, fu così. Quel tizio, dai suoi contemporanei conosciuto come un tecnico che aveva il nome uguale al cognome, per noi oggi rappresenta la “resistenza del pensiero”, la resistenza all’oscurantismo di chi si oppone al pensiero, e la resistenza al tempo che indurisce il pensiero perché è molto difficile mettere costantemente in discussione il proprio lavoro, anche quando la vecchiaia ormai avanza e la cecità oscura il cielo.
Ma Galileo riesce a non smettere di usare il cervello, e si può comprendere come ci riesca, solo dopo averlo incontrato, come è accaduto a me al Teatro Argentina. Non è uno spettacolo, ma un faccia a faccia tra Galileo e il pubblico, al quale il grande tecnico, poi scienziato e per scelta filosofo, spiega tutto il suo percorso: le sue difficoltà, la sua insistenza, le sue sconfitte, le sue contraddizioni, i suoi errori, le sue rese e le sue soddisfazioni.
Marco Paolini, alla composizione e alla resa scenica di ITIS (cioè istituto tecnico industriale) Galileo, spettacolo scritto con Francesco Niccolini, indossa i panni di Galileo e, come il maestro che tutti noi avremmo voluto ai tempi della scuola per capire davvero la scienza, induce a ragionare sul confronto tra ragione e superstizione. Ovvero ragione e fede nel mondo di ieri, ragione e, forse, economia nel mondo di oggi. Un excursus tra passato e presente, un disegno di epoche distanti nel tempo ma per certi aspetti non così diverse alla nostra contraddittoria realtà.
Due sono i regali che il grande narratore fa al suo pubblico.
“Un minuto di rivoluzione”, 1800 chilometri, il giro che fa la Terra attorno al Sole, un giro per urlare un elenco, ora che gli elenchi vanno tanto di moda, di contro: contro la dottrina imposta, contro la perdita di senso critico e storico, contro il sopore delle coscienze, contro l’assenza delle qualità inventive, contro il primato della religione accecata.
Un momento di alta Commedia dell’Arte, una preziosa e intelligente traduzione in veneto di alcuni versi dell’ “Amleto” di Shakespeare, illustre contemporaneo dello scienziato pisano.
Trascorrono così due ore avvincenti attraverso la storia dell’astronomia e il mondo della fisica tra Cinquecento e Seicento, i progressi della scienza e del pensiero filosofico da Aristotele a Copernico, e senza accorgersene il pubblico esce con delle nozioni che resteranno impresse nella mente come mai, e non ne ho dubbi, una lezione scolastica è riuscita a fare.