Un Paolini scoppiettante e in gran forma quello andato in scena al Ponchielli di Cremona con il suo ITIS Galileo: si tratta di uno spettacolo che vuole essere più un dialogo col pubblico che un monologo, una sorta di lezione interattiva in cui lo spettatore viene attratto e coinvolto, un percorso volutamente non lineare attraverso la vita di un grande scienziato del passato che l'attore mira ad attualizzare e a rendere quasi emblema universale dell'essere umano il quale, a dispetto di quanti gli si oppongono perché ingabbiati in convenzioni di ogni tipo, non rinuncia a pensare con la propria testa.
Molte sono le interpretazioni della figura di Galileo: di lui in genere viene sottolineato lo scontro che egli ebbe con la Curia romana, quasi a tracciare un'insanabile quanto irrealistica dicotomia fra fede e scienza. Per Paolini, invece, questo fiorentino prudente, diviso per gran parte della vita fra ciò noi oggi chiamiamo astronomia e astrologia, è soprattutto il padre della modernità con tutte le sue contraddizioni che vanno dalla passione per il sapere scientifico fino a quella forma serpeggiante di superstizione, a noi tutti ben nota, impossibile da arrestare anche alle soglie del terzo millennio.
Due ore e dieci minuti, tanto dura lo spettacolo, durante le quali non è possibile distrarsi e in cui viene tracciato un quadro complessivo di tutto il Seicento e della sua weltanschauung, partendo l'aristotelismo tomistico dell'accademia, passando attraverso le visioni tolemaica e copernicana del mondo per citare poi Keplero, Bruno, Campanella e Shakespeare che resero grande quel secolo.
La scena è scarna, solo una grossa mina appesa al soffitto a ricordare contemporaneamente sia gli studi eseguiti da Galileo sul pendolo, sia il fatto che alcune idee sono come mine vaganti, pronte in un minuto ad attuare una “rivoluzione” ben maggiore di quella rappresentata dai milleottocento chilometri percorsi dalla terra attorno al sole nel medesimo lasso di tempo.
Sul palcoscenico Paolini cambia spesso registro linguistico, rievoca ambientazioni diverse, recita Shakespeare in dialetto veneto, mette in scena un passo de Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo quasi fosse una pièce teatrale, stupisce, ma fa riflettere, perché è facile deridere le teorie quando sono passate di moda, il difficile è metterle in discussione quando ci si vive dentro.