Prosa
LA BADANTE

Veloce, ben interpretato, di …

Veloce, ben interpretato, di …
Veloce, ben interpretato, di quotidiana contemporaneità, "La badante", che debutta in anteprima nazionale questi giorni al Teatro S. Chiara di Brescia è un interessante cerbero teatrale che allunga le sue teste su diversi tavoli di discussione. Come già il titolo anticipa, il lavoro sviluppa il tema del lavoro a domicilio nel nostro paese, eminentemente di matrice extracomunitaria. Ma in realtà questo, e la pungente, ironica e famigliare (nel senso del lessico) indagine che ne deriva, sono presupposto assai scaltro per imporre ad un pubblico che pare avvertirne la portata, una più generale riflessione sulla crapula della nostra società agiata, attraverso la rappresentazione di un confronto generazionale madre-figli in una famiglia alto borghese. Ultimo tempo di un'ideale trilogia, di cui erano primi due elementi "Fotografia di una stanza" della stagione 2004/ 2005 ed "Il mio amico Baggio" della stagione scorsa, "La Badante", testo e regia di Cesare Lievi, ci racconta dei cambiamenti indotti dalla presenza degli immigrati, che spesso aprono squarci e generano contraddizioni profonde, intaccando abitudini quotidiane in quel domestico di cui diventano pian piano protagonisti, con un livello di intimità che, non di rado, supera quello degli algidi rapporti interpersonali delle famiglie disgregate dei giorni nostri. La vicenda si svolge in tre atti. Nel primo una madre astiosa e in là con gli anni, una potente ed applauditissima Ludovica Modugno, assilla con le sue ansie senili un figlio dal piglio ragionieristico e sbadatamente distante, intento a fare veniali conticini sugli fitti di alcuni appartamenti di proprietà della genitrice. Il parafulmine delle piccole ripicche, delle smemoratezze, delle angosce di donna sola è la nuova badante est-europea che i figli le hanno affiancato, giovane, servizievole, ma che lei non riesce a sopportare, forse perché questa nuova figura domestica sottolinea involontariamente i suoi cedimenti, ai quali l'anziana stessa non intende rassegnarsi. Nel secondo atto accade l'irreparabile: la madre è morta, e i due suoi figli, si incontrano nell'appartamento di famiglia a Salò e si trovano, ciascuno in preda ad isterie di diversa forma ma identica consistenza, a far fronte all'inaspettata sparizione del tesoro di famiglia, che avrebbero dovuto ereditare, avvenimento incredibile quanto di raffinata macchinazione. Chi avrà potuto tanto? Come? I sospetti ricadono sull'estranea, sulla figura che si pensa di colpo diabolica: la badante. Quando si apre il sipario sul terzo atto cogliamo la portata sottilmente geniale della regia, con un flashback nel quale si arriva all'esito di quello che, dal punto di vista narrativo, è diventato un vero e proprio thriller, ma che in realtà squarcia un velo sulle colpe vere di una società poco attenta, protesa verso se stessa in un loop più tragico e prevedibile di quelli che genera l'arteriosclerosi, ingorda di piacersi e di piaceri. Molle e abbacinata dalla fortuna costruita dai padri, che avevano vissuto la guerra e animato la ricostruzione, un'intera generazione, quella dei figli della signora, fra i quaranta e i cinquant'anni, viene presa di petto e sbugiardata in un monologo appassionato, affidato alla potenza della straordinaria Ludovica Modugno, che ne rimarca le consapevoli assenze, le volute mancanze di spirito, di progetto, di interessi: morti senza sapere di esserlo, anonimi transiti nel buio sottoscala della vita, capaci al più di colorarsi di un rosso d'ira o di un verde di rabbia. La denuncia è ampia, profonda, ma ben impostata, attorcigliata ad una trama dall'intreccio brillante, ben studiato per reggerne il peso senza risultare mai pesante, e al contempo non cedere al banale. Sulle scene di semplice eleganza, studiate da Josef Frommwieser, la Modugno, affiancata dagli efficaci Emanuele Carucci Viterbi e Leonardo De Colle nel ruolo dei figli, da una torbidamente melliflua Paola Di Meglio, moglie di uno dei due, e da Giuseppina Turra, misurata badante, rappresenta con i crismi del giallo una storia contemporanea, striata, oltre le finestre e le porte, da quelle che potremmo definire "le luci di dentro", studiate dal genio di Gigi Saccomandi. Le ire isteriche dei figli o le sclerosi senili ma passionarie dell'anziana madre assumono, per tutta la durata della rappresentazione, forma teatrale poetica e forte. Non c'è vuoto, se non quello abilmente voluto del secondo atto, di una famiglia cui è venuta a mancare la spina dorsale e che ondeggia in torbidi eccessi, come infante privato del gioco. La psiche collettiva sotto assedio. Alla fine, l'anziana, delle cui debolezze il pubblico ride nel primo atto, diventa la coscienza critica di un risvolto umano che tutti pensiamo senza dire, perché coinvolge oramai i più; sentire, annusare il puzzo di morte che esala dalle non-vite di molti fantasmi che popolano le nostre esistenze, distanti dalla società e rivolti a solitari ed emarginati pensieri egoistici e l'indagine sul loro inconfessabile privato: questo c'è dentro "La badante", preziosa ed elegante costruzione scenica, amabilmente cattiva, che vendica e rivendica un nuovo pensiero appassionato di società e la volontà di tornare a viverla in forma autentica. Teatro Santa Chiara -Brescia - fino al 6 aprile e dal 29 aprile all'11 maggio 2008
Visto il
al Savoia di Campobasso (CB)