La Bibbia rivista dagli Oblivion si rivela uno spettacolo sopraffino, frutto di uno scrupoloso lavoro di ricerca storica, che si traduce sul palcoscenico in due ore di godibile divertimento.
Il primo musical inedito degli Oblivion si rivela uno spettacolo sopraffino, frutto di uno scrupoloso lavoro di ricerca storica, che si traduce sul palcoscenico in due ore di godibile divertimento.
La Bibbia riveduta e scorretta, con musiche totalmente originali scritte da Lorenzo Scuda - è una versione comica e dissacrante del libro più letto nella storia del mondo. Uno degli aspetti interessanti, a livello drammaturgico, è l’inserimento nel testo di personaggi realmente esistiti, che in origine erano uomini e collaboratori di Gutenberg e in questa circo-stanza diventano fraulein Schöffer (Graziana Borciani) e la terribile Frau Fust (Francesca Folloni).
Oltre la parodia: destinazione musical
Magonza, 1455. Johann Gutenberg (Davide Calabrese) inventa la stampa a caratteri mobili. Ben consapevole della portata rivoluzionaria della sua invenzione, si mette alla scrupolosa ricerca del primo libro da stampare, fino a quando Dio (Fabio Vagnarelli, con sembianze estremamen-te somiglianti a Morgan Freeman) propone al tipografo tedesco la sua autobiografia scolpita su pietra, con la speranza di farla diventare il primo best-seller della storia; inizia così – preceduto da un esaustivo opening number sui vantaggi dell’Età Moderna.
La partitura dello spettacolo è disseminata di numerose citazioni care ai cosiddetti “musical lovers”, che possono cogliere facilmente atmosfere musicali ispirate ad alcuni celebri “must” di Broadway (Beauty and the Beast, Sister Act, The Producers, solo per citarne alcuni: il riferi-mento più evidente è il celebre acuto di Elphaba in Wicked, emesso in questo caso da Abramo nella scena in cui Dio stabilisce la circoncisione per tutto il popolo ebraico.
Dopo dieci anni, ormai il pubblico sa cosa aspettarsi dagli Oblivion, ma i primi dieci minuti dello spettacolo spiazzano, perché si va oltre la parodia, procedendo nella direzione del teatro musicale, di qualità, arricchito da una scenografia importante – con tanto di riproduzione di un autentico torchio tipografico del XV secolo – e da effetti visivi degni di uno spettacolo di illusionismo.
La crisi della (sacra) famiglia tradizionale
Il primo tempo è un serrato braccio di ferro tra editore ed editore, preceduto da un I am song, interpretata “da Dio”, nella quale il Padre Onnipotente condensa in soli 5 minuti i momen-ti salienti dell’antico Testamento. L’incombente presenza di Frau Fust rimescola le carte e, nel se-condo tempo, Dio si fa da parte per lasciare spazio a Gesù – o meglio, J.C. – una sorta di millennial che trasforma l’acqua in vino a tempo di rap, ma è troppo occupato dalla sua vita social per pensare alla scrittura, tanto ad affidarla a “quattro ghost-writers ufficiali e qualche apocrifo”.
La battaglia senza esclusione di colpi si sposta su un terreno familiare, tra un Padre assente e un Figlio che cerca solo il suo affetto.
Immancabile il lieto fine, arricchito da una morale incisiva e universale: la Bibbia non va presa troppo alla lettera, ma, in qualsiasi epoca, è necessario adattarla all’evolversi dei tempi e soprattutto interpretarla con maggiore umanità.
Poco prima, si era verificata, a sostegno di questa tesi, un’inaspettata reazione di gradimento del pubblico torinese: quando il Padre ammette le sue mancanze con la battuta“avevo pensato che farti crescere in una famiglia tradizionale poteva garantirti la felicità... ma quella cosa della “fami-glia tradizionale” è tutta una cazzata!”, gli spettatori rispondono con un fragoroso applauso; circostanza che gli stessi protagonisti non avevano finora riscontrato in nessuna delle città toccate dal tour.
C'è da scommettere che La Bibbia riveduta e scorretta sarà uno degli spettacoli che verranno ricordati tra i migliori di questa stagione.