Per la terza e ultima tappa della breve stagione operistica estiva per il Teatro dell’Opera di Roma nella ormai collaudata ambientazione del Circo Massimo, va in scena uno dei titoli più amati: La bohème di Giacomo Puccini.
Si tratta della ripresa dell’edizione realizzata in collaborazione con il Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia rappresentata a Caracalla nel 2014 e ripresa nel 2015 con la regia di Davide Livermore, a cui si devono anche le scene, i costumi e le luci.
L'immaginaria Parigi dei freddi inverni e dei cieli bigi è stata certamente ispirata a Puccini dalla Milano della scapigliatura, negli anni degli studi al Conservatorio. Gli squattrinati amici, che trascorrono le loro giornate tra allegre comitive e sogni di gloria, forse si riferiscono a personaggi realmente incontrati.
Poca intimità nella soffitta, grande festa in piazza
Davide Livermore ambienta la vicenda non nella fredda soffitta della tradizione, ma in una specie di atelier dove risaltano grandi proiezioni di famose opere dell’impressionismo. In fondo l’opera non è suddivisa in atti, ma in quadri ad esaltarne la dimensione bozzettistica e ogni quadro è dominato da una o più opere. In realtà, anche se la trovata esalta la collocazione temporale della storia, ne mortifica la dimensione intima e contrasta con la musica dei momenti romantici e drammatici.
Dove invece la creatività del regista esplode è nelle scene di insieme, il grande palcoscenico è affollatissimo, i personaggi del quartiere latino e del Caffè Momus rappresentano una umanità variopinta allegra e festosa. I bellissimi costumi sono altrettante citazioni della pittura impressionista, appaiono anche quattro bianchissime ed esili ballerine in tutù a ricordare quelle di Degas.
Tra gli avventori del Momus la seducente Musetta riesce a far pagare al maturo spasimante Alcindoro il conto dei suoi sfacciati amici. I commercianti offrono la loro merce, i bambini assediano Parpignol, il venditore di giocattoli. Rodolfo e Mimì entrano in un negozio di modista e acquistano una cuffietta a pizzi tutta rosa, ricamata. La Ritirata militare guidata dal Tambur maggior! La canna d’or, tutto splendor! seguita in corteo dagli amici del Caffè Momus chiude il quadro tra le ovazioni della folla.
Il quadro successivo della Barriera d’Enfer tra gli assonnati doganieri e i ciarlieri spazzini con le sue luci basse, che descrivono la fredda notte fuori dai cabaret, anticipa il clima di quello che sarà il tragico epilogo con Mimì che, scossa dai colpi di tosse e dai fremiti della febbre, cerca amichevole conforto da Marcello dopo che Rodolfo, roso dalla gelosia, l’ha lasciata nella disperazione.
Addio giovinezza
L’ultimo tragico quadro si svolge nello stesso atelier del primo, e anche qui il grande spazio della scena contrasta con l’intimità e la commozione che la musica propone. Il dramma si consuma mentre gli amici cercano di attenuare le sofferenze di Mimì moribonda. In un estremo tentativo senza speranza, Musetta vende i suoi orecchini per curarla, Colline si togli il pastrano per venderlo Vecchia zimarra, senti, io resto al pian, tu ascendere il sacro monte or devi. Fino all’urlo di Rodolfo contrappuntato dal singhiozzo finale dell’orchestra.
L’artificio del leitmotiv, per introdurre personaggi e situazioni, dà all’orchestra ben guidata dal Direttore spagnolo Jordi Bernàcer il ruolo di efficace ed ispirato narratore, mentre ancora una volta il Coro diretto da Roberto Gabbiani furoreggia nelle scene d’insieme senza lasciarsi distrarre dai numerosi ballerini e figuranti che, insieme agli allievi della Scuola di Canto Corale e alle allieve della scuola di Danza del Teatro dell’Opera, affollano il palcoscenico strappando entusiastici applausi.
La compagnia di canto deve fare i conti con l’inevitabile confronto con tanti storici precedenti, sempre vivi nella memoria di tutti, ma comunque offre una buona prova. Ricordiamo in particolare la prestazione di Piero Pretti, splendida voce ricca delle sfumature appassionate che il ruolo di Rodolfo esige.
La soprano coreana, ormai naturalizzata italiana, Vittoria Yeo è una adeguata Mimì, forse un po’ squillante rispetto al dolente ruolo della protagonista, mentre la Musetta di Sara Bianchi è efficace e brillante, ma ce la saremmo aspettata un po’ più civetta nelle schermaglie con il cupo ed inquieto Marcello di Luca Micheletti. Applausi a scena aperta sciolgono la tensione all’approssimarsi della fine per Gabriele Sagona ispirato Colline quando intona Vecchia zimarra, a completare il quartetto di amici buona la prestazione di Simone Del Savio nel ruolo di Schaunard.
Bene tutti gli altri.