Lirica
LA BOHEME

ALL'OMBRA DELLA TORRE EIFFEL

ALL'OMBRA DELLA TORRE EIFFEL

A Torre del Lago torna la Bohème di Maurizio Di Mattia con scene di Maurizio Varamo, produzione che aveva debuttato al Festival Pucciniano l’anno scorso in sostituzione della precedente tinta pastello creata da Folon.
La struttura ferrosa del basamento della Tour Eiffel è la cornice riconoscibile di segno forte dentro cui vengono con piccole variazioni ambientati i quattro atti, una veduta dei tetti di Parigi illuminata da luci brune o azzurrine chiude la scena. L’architettura industriale della torre si presta ad ambientare la soffitta dove pareti di vetro opalescente incorniciano il lettuccio, la stufa ed il tavolino, ma anche la periferica Barrière d’Enfer ed i suoi bassifondi con l’osteria ricavata dietro la campate di ferro del basamento.
La scena risulta meno efficace nel quadro del quartiere latino in quanto, nonostante sia in parte soppalcato con un caffè su di una terrazza, l’ambiente è di fatto occultato da masse dal movimento piuttosto confuso che affollano in modo inverosimile la scena in un tripudio di costumi inizio secolo tutti piume, paillettes, lustrini (costumi di Anna Biagiotti). Inutili le controscene con prostitute, ragazze allegre e ubriache, giovani senz’arte né parte, che nelle intenzioni registiche dovrebbero connotare la vie de bohème e invece appesantiscono il discorso distogliendo l’attenzione dai protagonisti; sarà naif, ma ci può invece stare nella gioia che chiude il secondo atto la banda militare vestita di rosso e la folla  coi bambini sulle spalle che sventolano bandierine tricolori.

La regia non offre molti spunti, si accentua il lato sensuale della coppia Marcello-Musetta, lui perennemente attorniato da ragazze facili e lei che insegna il canto  “a vista”  amoreggiando su di una panchina con un amante in opposizione alla coppia eterea formata da Rodolfo e Mimì. Divertente l’inversione di ruoli all’inizio del quarto atto con Rodolfo che dipinge e Marcello alle prese con l’arte della scrittura, un momento di gioco che prelude alle divertenti pantomime dei quattro bohemiens nella soffitta.

Di ben altro rilievo l’esecuzione musicale. Maria Agresta è una Mimi ideale per la voce luminosa dalla perfetta emissione che traduce con sensibilità ogni sfumatura della scrittura pucciniana. La sua Mimi ha una straordinaria immediatezza e verità a partire dal canto, dall’attenzione a sottolineare, piuttosto che a sfumare con il  pudore proprio del personaggio, ogni parola e inflessione. Un canto molto interiore che non cerca (pur avendone i mezzi) il facile effetto e proprio per questo commuove di più.
Stefano Secco è un Rodolfo affettuoso, dal canto partecipe e per certi versi discreto, capace di tradurre una vicinanza emotiva che sgorga dal profondo: per la definizione del personaggio preferiamo la sua capacità di fraseggio e dizione a voci per natura più spettacolari.
Convince appieno Gabriele Viviani nel ruolo di  Marcello per la voce morbida di bel timbro e ragguardevole estensione: ma, oltre agli indubbi meriti vocali, si apprezza la comunicativa e la sintonia con il repertorio pucciniano. Ci è piaciuta anche Alida Berti per la voce sopranile musicale e leggera adatta alla frivola, ma in fondo assai buona, Musetta: se la regia la vuole un po’ sopra le righe, la voce perfettamente controllata restituisce la giusta misura. Domenico Colaianni è uno Schaunard mobile e brillante, a volte un po’ troppo caricato. Voce possente ma non sempre a fuoco per il Colline Carlo Striuli. Benoit e Alcindoro sono stati interpretati con correttezza e buon gusto da Angelo Nardinocchi.

Peccato che Daniel Oren non riesca a tenere a freno il suo coinvolgimento e si abbandoni alle solite intemperanze: la sua direzione, che sia densa e incandescente o intima e sussurrata, è assolutamente sintonica con le dinamiche pucciniane di cui coglie, e per certi versi prepara, ogni dettaglio e sfumatura. Nella sua interpretazione sinfonica e mai antologica ogni singolo  passaggio acquista giusta pregnanza e si coglie appieno la modernità di Puccini. Ottima la prova dell’orchestra, bene il coro.
 
Un pubblico numeroso ha tributato alla fine lunghi applausi.

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