Al Carlo Felice ritorna la Bohème del pittore genovese Franco Musante, coloratissima, naïve e fantasiosa come la sua pittura, che immerge il capolavoro pucciniano in un’atmosfera surreale e fiabesca e, per una volta, i cieli di Parigi sono tutt’altro che grigi.
La soffitta pastello dalle pareti color lavanda su cui sono appesi disegni infantili è un carillon che, alla fine del primo atto, azionato da una gigantesca chiavetta, ruota a vista nella penombra svelando un affascinante dietro le quinte che prepara il quadro successivo in una progressione esplosione di luce e colore che ci catapulta in un quartiere latino in festa affollato di bambini, soldatini di piombo, venditori e mimi che simulano lottatori-giocattolo. Anche i fantasiosi costumi dai colori sgargianti (fucsia, giallo, verde, turchese) contribuiscono a creare un’atmosfera giocosa e ad ambientare la vicenda in una favola piuttosto che in un dramma. Tutto è fiaba e anche la Barriera d’Enfer è un susseguirsi di variopinte casette con le finestrelle che sorridono allegre e alberi verdi come quelli disegnati dai bambini. Rodolfo e Mimì escono di scena abbracciati sotto una pioggia di petali rosa lanciati dai bambini alle finestre. Se l’atmosfera colorata e festosa si addice ai primi due atti, dove aleggia il gioco e l’illusione, stride nel terzo dove l’eccesso di colore e ingenuità (i bambini che fanno il pupazzo di neve, un buffo ubriaco, le effusioni di coppie di amanti) distolgono inutilmente da uno dei momenti nodali del dramma e ne attenuano la virata tragica.
Il regista Augusto Fornari, prendendo spunto dall’atmosfera creata da Musante e dalle utopie dei sogni giovanili propri di Bohème, affianca ai personaggi un doppio infantile che ne rappresenta l’anima “fanciullina” e la parte inconscia. La marcata presenza di bambini sulla scena stempera la tragicità dell’opera che qui risulta una favola colorata vista con gli occhi dei bambini e il gioco del doppio contribuisce a creare un’atmosfera onirica. A seconda della situazione i bambini, vestiti con gli stessi colori del personaggio di riferimento, si comportano da attori o spettatori: come nelle fiabe sono “aiutanti” che determinano gli eventi (fanno cadere la penna a Rodolfo per interromperne la scrittura, nascondono la chiave di Mimì, spengono ripetutamente il lume per favorire il nascere dell’amore; oppure danno luogo a controscene parallele al plot principale: costringono il Benoit-bambino a bere da un fiasco di vino, fanno a palle di neve per tradurre le schermaglie amorose fra Marcello e Musetta, una bambina dall’aria coquette risveglia in Marcello sentimenti ormai sopiti e anticipa l’entrata in scena della stessa Musetta e, quando Rodolfo e Mimì escono dalla soffitta, i loro doppi si scambiano un bacino con un effetto da Bacio Perugina). I bambini sono una presenza costante nei primi tre atti e spariscono solo nel quarto, quando la tragedia incalza lasciando ai soli adulti il compito di andare incontro alla morte. Riappariranno a morte avvenuta, seduti su di un carretto da circo che sfila lungo il palcoscenico per un ultimo commiato e si ha l’impressione che la morte di Mimì sia più da intendersi come fine della giovinezza che della vita, come del resto ribadisce l’epigrafe scritta in corsivo sul sipario “ Mimì, mia breve gioventù”.
Nella recita a cui abbiamo assistito il ruolo protagonista è stato sostenuto da Maite Alberola, una Mimì dalla voce lirica piena e luminosa, capace di rendere il personaggio particolarmente intenso e vibrante. Teodor Ilinčai è un Rodolfo decisamente giovane e istintivo; se ne apprezza lo slancio e la facilità nel registro acuto che appare decisamente sicuro, ma va affinata la tecnica nei passaggi e l’omogeneità della linea di canto. Roberto De Candia infonde simpatia e calore a Marcello con una voce baritonale morbida e ben sorvegliata. Alessandra Marianelli, delicata e graziosa come un personaggio di una fiaba, entra in scena su di un cavallo da giostra che scende dal cielo e sembra uscita da un libro per bambini; la sua Musetta convince però più nel quarto atto, dove rivela buona intensità espressiva, che non nei momenti brillanti che richiederebbero maggior verve e comunicativa. Un plauso al Colline di Andrea Concetti per nobiltà interpretativa e una linea di canto curata con cui ha affrontato ogni battuta; esemplare, ma non scontato, il canto legato in “Vecchia zimarra”. Andrea Porta ha dimostrato buoni dote istrioniche nei panni di Schaunard riscuotendo il successo da parte del pubblico. Positiva la prova di Claudio Ottino nei panni di Alcindoro, Davide Mura è Benoit. Spontanei e delicati come si addice a Bohème i mimi bambini trionfatori della serata.
Giampaolo Bisanti offre una lettura funzionale alla narrazione con una ritmica avvincente ricca di pathos e slancio. La direzione si è rivelata sensibile a non prevaricare le voci fornendo loro giusto sostegno anche se sì è avvertito qualche sfasamento fra i cantanti.
Complessivamente buone le prove del coro diretto da Pablo Assante e delle voci bianche preparate da Gino Tanasini.
Un pubblico caloroso composto in buona parte da giovani ha confermato il successo della produzione.