La stagione lirica di tradizione di Macerata, artisticamente diretta per la prima volta da Francesco Micheli, affida i due nuovi allestimenti in cartellone a due giovani registi di prosa che portano nuove, interessanti idee e la cura attoriale propria della prosa: Leo Muscato per Bohème e Serena Sinigaglia per Carmen.
Convince pienamente la scelta di Muscato di ambientare negli anni Sessanta del Novecento l'opera pucciniana, mantenendo totale fedeltà alla storia e al plot. Il compositore scelse di retrodatarla rispetto alla sua epoca in modo da situarla in un momento di fermento intellettuale e giovanile, dunque prima dei moti del 1840; oggi un periodo simile è necessariamente quello degli anni Sessanta del secolo scorso. Ecco dunque la soffitta, a cui si accede da una botola, che pare un appartamento di giovani universitari: Rodolfo alle prese con il lavoro di giornalista fa ticchettare una “Lettera 22”, Marcello dipinge con lo spazzolone (e il pavimento è coperto da un telo con bave di colore che rimandano a un delicato sogno surrealista), Schaunard suona la chitarra elettrica esprimendo la sua anima rock e Colline non si separa dai suoi libri trascinandoli in un carrellino. Mimì canta seduta in poltrona trasversalmente, con le gambe a penzoloni dal bracciolo.
Splendido il secondo quadro, una festa al bar che diventa un party di Natale in stile musical: i coristi sui cubi, le luci fucsia, gli arredi zebrati come i vestiti dei camerieri, l'albero della cuccagna di Parpignol, i bambini coi palloncini in mano che poi volano nel cielo. Un atto così leggero e divertente che, finito, si vorrebbe ricominciasse immediatamente.
Il terzo quadro mostra l'altro volto degli anni Sessanta, le proteste operaie e gli scontri con la polizia per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Siamo davanti alle fonderie d'Enfer, una lunga barricata confina gli operai dentro la fabbrica, guardati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa intenti a rimuovere i cubetti di porfido appena lanciati dai contestatori. Il rimando all'originale è raffinato: un cartellone in un angolo propone il menu del bistrot d'Enfer. Musetta arringa gli operai come una sindacalista, Marcello dorme in un camioncino oltre le barricate. Una panchina solitaria in proscenio consente a Mimì le azioni previste dal plot.
Nel quarto quadro siamo di nuovo in soffitta, ma il tempo è trascorso e i ragazzi se ne vanno, imballando i pochi averi dentro scatoloni chiusi con lo scotch che trasportatori in tuta portano via per il trasloco. Il passaggio dal primo momento al secondo momento del quadro è assai efficace, un taglio cinematografico che porta dalla soffitta alla camera di ospedale: davvero geniale. Ma è proprio la camera di ospedale che non convince sia in assoluto che in relazione al libretto. L'apparire veloce del letto con sopra Mimì seguita da medico e infermieri è quasi ilare ed è semplicemente brutto quando l'infermiere, dopo che il dottore ha constatato la morte della giovane, copre il viso con il lenzuolo e il letto viene riportato via. Quindi i quattro ragazzi e Musetta restano in ombra e una lama di luce evidenza la scritta sul muro “combat avec nous pur vivre libre”.
La scena di Federica Parolini è perfetta, sobria e colorata al tempo stesso (i due cambi scena a vista sono essi stessi uno spettacolo), come perfette sono le coreografie di Michela Lucenti affidate all'Ensemble di teatro fisico Balletto Civile; splendidi i costumi di Silvia Aymonino; splendide le luci di Alessandro Verrazzi.
Leo Muscato si conferma regista di talento, in grado di applicare la cura attoriale della prosa anche all'opera lirica e così scolpendo personaggi a tutto tondo e conferendo all'azione grande pregnanza drammaturgica. Un regista che pone al centro di tutto il ruolo del cantante-attore e ricorre a pochi, economici (ma poeticissimi) elementi per ricreare un mondo, rivelando grande sensibilità. Un'idea per tutti: il tavolo creato con l'accatastamento delle valigie e la tovaglia di fogli di giornale, che non rimandano alla vita dei barboni ma alle poche, elementari necessità dell'uomo non sovrastrutturato: l'amicizia, l'amore, il lavoro.
La luna è un tondo di luce che rischiara un quadrato azzurro che pare la proiezione dello sguardo da una finestra senza affacciarsi. E il mimo che introduce il secondo quadro porta l'attenzione ai deboli, agli indifesi, a coloro che vivono in un proprio mondo per l'incapacità di accettare quello reale (e che non per questo devono essere emarginati e isolati).
Nessun dettaglio è lasciato al caso: Rodolfo si riposa dentro il camioncino di Marcello, il quale a proposito di Rodolfo dice a Mimì “Si desta, s'alza, mi cerca” e si vede, dai finestrini, il fascio di luce di una torcia che cerca.
L'ambientazione per certi versi è ancora meglio dell'originale, soprattutto nei primi due quadri: il contrasto tra i giovani che si ergono a censori del padrone di casa, il colorato mondo hippy, il ballo dei coristi come nei grandi musical americani. Al poster della Paris Review del primo quadro seguono i cartelloni di chiara contestazione del terzo; nel finale un fascio di luce cade su quello che invita a unirsi alla lotta per vivere liberi, come già detto.
Paolo Arrivabeni crea un buon afflato in buca, l'orchestra lo segue convinta e il suono ottenuto è morbido e variegato; qualche larghezza nei tempi consente al canto di ben dispiegarsi.
Carmen Giannattasio è una Mimì vibrante, coerente sia con la scrittura pucciniana che con la lettura registica, attorialmente intensa nel contegno schivo e insicuro; la voce venata da bruniture ben si spiega in ogni registro. Serena Gamberoni è una Musetta spigliata e decisa, non l'aspra civetta che spesso si ascolta; la voce potente e controllata rende al meglio ogni piega del personaggio sotto la guida del regista che, nel valzer, la mette al centro di quattro boys. Sul versante maschile si è apprezzata la morbidezza e il bel colore della voce di Francesco Meli che adatta Rodolfo alle sue corde in modo assai intelligente. Damiano Salerno spicca per il viso pallido ed emaciato, perfetto per questo allestimento; la sua voce scura ben si presta al ruolo di Marcello, affrontato con un buon controllo del proprio mezzo alla ricerca dei dettagli della partitura. Andrea Porta è un intenso Schaunard dall'anima rock, il ricciuto Colline di Andrea Concetti non fa fatica nell'aria della zimarra. Con loro Alessandro Pucci (Parpignol), Antonio Stragapede (Benoit) e Lucio Mauti (Alcindoro). A completare il cast Roberto Gattei, Gianni Paci, Giovanni Di Deo, il coro lirico marchigiano preparato da David Crecenzi e la banda Salvadei che pare i Cugini di campagna.
Teatro esaurito, moltissimi applausi a scena aperta e nel finale, soprattutto per i due protagonisti.