Mimì e Rodolfo in una Parigi da cartolina

Mimì e Rodolfo in una Parigi da cartolina

Punta tutto sulla tradizione e viaggia lungo binari convenzionali, La Boheme, lo spettacolo fuori abbonamento del teatro napoletano, che ripropone un allestimento del Massimo di Palermo.

Il fascino (scontato) dell’oleografia

Nell’ideare le scene per il capolavoro pucciniano, Francesco Zito ha deciso di non correre rischi. Nel primo e nel quarto quadro, lo sguardo si perde in una soffitta tanto smisurata da ricordare un capannone industriale dismesso. A delimitare un interno che sembra una piazza d’armi provvede un’alta vetrata, ermeticamente chiusa all’inizio, quasi a covare in un nido il primo lampo dell’amore tra i protagonisti, e alla fine spalancata su un generico scenario urbano.

Nel secondo quadro, il caffè Momus è un gazebo liberty che occupa il centro di una piazza parigina, con tanto di insegne e immancabili comignoli allungati nella penombra verso il cielo. Nel terzo, infine, non mancano cancello, nebbia, nevischio e bagliori mattutini, con in più un’imponente (e inutile) sopraelevata che conferisce un taglio obliquo all’insieme.
Entro ambientazioni così ‘rassicuranti’, il regista Mario Pontiggia dipana il gioco scenico secondo linee più che prevedibili, con qualche compiacimento di troppo nei momenti goliardici e scanzonati.

Poche le soluzioni originali; tra queste, i repentini e fugaci tableaux che congelano a tratti l’affollata frenesia della festa. Meno riuscite appaiono altre scelte, come la farsesca ‘carica’ taurina di Marcello nell’imminenza della riconciliazione con Musetta o la fortunosa riapparizione di Benoît nel quadro conclusivo all’interno della girandola giocosa che precede il drammatico ritorno di Mimì. Niente sorprese, dunque, né inviti a scovare significati e risvolti diversi nella notissima vicenda, raccontata in modo da non deludere le attese (e da confermare i luoghi comuni).

Tra podio e palcoscenico

Sotto il profilo musicale, lo spettacolo – che chi scrive ha visto alla prova generale (con il secondo cast), dedicata a una meritevole iniziativa benefica in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori “Pascale” di Napoli – si attesta su un discreto livello complessivo.
La bacchetta di Stefano Ranzani dosa saggiamente i volumi orchestrali e disegna i contorni del fraseggio con gesto chiaro e fluido allo stesso tempo. Qua e là, tuttavia, si notano indugi eccessivi, dilatazioni a rischio di ristagno; i tempi lenti a volte sono davvero troppo lenti e, anziché creare appropriate suggestioni in corrispondenza dei picchi espressivi della partitura, finiscono per sfilacciare e disperdere la tensione.

Non del tutto convincente risulta la Mimì di Elena Mosuc, che può vantare un’intonazione precisa ma, non riuscendo sempre a trovare un’adeguata differenziazione di accenti, conferisce al personaggio un carattere troppo uniforme. Molto tradizionale è l’impostazione data a Rodolfo da Massimiliano Pisapia, che alterna slanci generosi a momenti più opachi.
Gladys Rossi ha la spigliatezza e la duttilità vocale necessarie per tratteggiare con efficacia il profilo di Musetta. Merita una segnalazione speciale Vincenzo Nizzardo nei panni di Marcello: il bel timbro caldo, il volume ampio, il gesto sicuro e disinvolto contribuiscono a rendere molto incisiva la sua presenza sul palcoscenico, giustamente apprezzata dal pubblico.

La messinscena, anche se (o proprio perché) non brilla certo per audacia, riscuote un successo lusinghiero e strappa agli spettatori partenopei una calorosa approvazione.