Circa una trentina d'anni fa, la Claves pubblicava il ciclo completo delle farse rossiniane consegnandole ad un drappello di giovani interpreti – molti dei quali, come Bruno De Simone, Alessandro Corbelli e Bruno Praticò destinati poi a grande carriera - ponendoli sotto tutela dell'intelligente bacchetta di Marcello Viotti. Iniziativa lodevole sotto ogni aspetto, che permise la rivalutazione di un corpus di lavori allora ancor poco conosciuto – ed anzi, salvo rarissime eccezioni trascurato sia dai teatri che dalle majors discografiche - e che invece è formato da 'piccole' partiture ognuna delle quali, in diversa misura, possiede indubbie qualità e vari motivi d'interesse.
La cambiale di matrimonio, in realtà, sconta il fatto d'essere la prima d'esse in ordine di tempo, in quanto presentata da Rossini nel veneziano Teatro San Moisé ai primi di novembre 1810. Un esperimento, dunque, ancora qua e là incerto, col quale il giovanissimo autore pare 'prendere le misure', come s'usa dire, del suo talento, muovendo i primi passi nel mestiere di compositore. Frutto insomma ancora un po' acerbo, ma con le promesse di tutti i sapori della maturità. Per qualche maggiore considerazione in merito, si veda anche la precedente recensione su questo link, limitando questo nuovo intervento a parlare del recupero di un riuscitissimo spettacolo già rappresentato a Venezia, al Teatro Malibran, in concomitanza del Carnevale 2013 ed ora riproposto – la nuova occasione è l'EXPO 2015, lo si avvertiva nell'estrema eterogeneità del foltissimo pubblico – nella più importante sala della Fenice.
E' cambiato naturalmente il direttore, e caso vuole sia in questo nuovo frangente Lorenzo Viotti, cioè proprio il figlio del suddetto Marcello, in anni recenti apprezzato direttore musicale della Fenice, e che purtroppo fu stroncato a Vienna da un malaugurato infarto. Periodo di stimolante gestione artistica, il suo, durante il quale mostrò particolare attenzione verso quel repertorio francese d'Ottocento di cui era eccellente conoscitore ed interprete. E' presto per dire se l'erede abbia le stesse vedute del padre: in un concerto del marzo scorso, con il quale si presentava per la prima volta al pubblico veneziano dirigendo sempre l'Orchestra della Fenice, Lorenzo Viotti ha operato scelte che sembrano privilegiare di più certi indirizzi di una classicità austro-tedesca, che quelli d'ambito francese; ma è ancor poco per giudicare. In questa ariosa direzione de La cambiale di matrimonio mette in campo chiarezza d'idee nella concertazione delle voci, ed eleganza e levigatezza – ma non compiaciuta ricercatezza – nello strumentale; un approccio complessivo che pare voler sottrarre il lavoro rossiniano all'orbita del caciaroso universo comico italiano, per apparentarlo più all'olimpicità apollinea di Mozart e di Haydn.
Spiccano, senza ombra di dubbio, le caratteristiche dei due antagonisti maschili, vale a dire Tobia Mill e Slook: l'uno tanghero ostinato - un «vecchio sussurrone» come il Sior Tòdaro di Goldoni - l'altro uomo di larghe vedute, un po' naïf ma pervaso di buon senso. Personaggi posti nelle mani rispettivamente di Omar Montanari e Filippo Fontana, che si conducono con considerevole finezza, senza mai calcare la mano sui lati grotteschi dei rispettivi ruoli; e che appaiono irresistibili nei loro duetti, mostrando entrambi indubbie capacità sceniche, belle qualità vocali, e condotta di stile sempre pertinente. Con un punto di vantaggio però per il baritono romagnolo, senz'altro una delle personalità più promettenti di questi ultimi anni: il quale mostra la sua autorevolezza sin dalla comica presentazione di «Chi mai trova il dritto, il fondo», anche se nella simmetrica entrata di Slook, «Grazie... grazie...Caro amico!», il friulano Fontana non è tanto da meno. Fannì è Marina Bucciarelli, pronta a mettere in campo bella verve, spiccata musicalità e sicurezza nelle colorature di «Vorrei spiegarvi il giubilo», la pagina più celebre di questa partitura; Francisco Brito – altra voce rossiniana che fa ben sperare – lavora di fino al suo Edoardo, con bel fraseggio e chiarezza timbrica. Lodevoli il Norton di Claudio Levantino e la Clarina di Rossella Locatelli; sono parti di contorno, e quindi a volte un po' trascurate, ma qui ben sostenute da voci importanti, e soprattutto ben impostate e gestite.
Le scene di Stefano Crivellari – deliziosi gli imponenti scaffali pieni di stoffe d'ogni genere, che s'aprono su poetici squarci lagunari diurni e notturni - ed i costumi di Federica Miani traslocano con esiti felici questa storia di balzani mercanti dall'Inghilterra del primo Ottocento ad una Venezia affollata di maschere dell'Arte, con quattro agili Pulcinella al lavoro come lacchè tuttofare, Balanzone e Pantalone a far da comprimari, e due gondolieri da cartolina a traghettare Slook in casa Mill. Tutto funziona come un orologio svizzero in questa incantevole Cambiale, grazie alla spiritosa regia di Enzo Dara, che imprime un andamento spedito e leggero, tutto a ritmo di danza, alla esile vicenda ed ai suoi protagonisti. Una regia misurata eppure vitalissima, sempre adeguata al veloce fluire musicale, che dona agli spettatori un divertimento fresco e frizzante.