Prosa
LA CIOCIARA

"La ciociara", uno spettacolo che sa di cinema

"La ciociara", uno spettacolo che sa di cinema

Lo spettacolo si apre con un cadere di foglie proiettato sul velatino che separa il pubblico dall’azione scenica, materializzando la quarta parete. Un salotto, una madre dalla chioma imbiancata ed una figlia cinica e sprezzante discutono animatamente dell’acquisto di un’automobile. Non sembrano le protagoniste de “La ciociara” che noi tutti conosciamo, le due figure di donna che scappano dalla guerra senza riuscire a scamparne, vittime di quell’oltraggio indelebile che è lo stupro, violenza di guerra in cui Moravia stigmatizza l’oltraggio ad un intero paese. La riscrittura teatrale del romanzo, operata da quel grande autore (scomparso, ahinoi, troppo presto) che è Annibale Ruccello, parte dall’Italia del boom economico, è qui che ritroviamo Cesira e Rosetta, madre e figlia, che dell’orrore della guerra non sembrano portare traccia, chiuso a doppia mandata nel baule delle memorie da dimenticare. Rosetta ha un marito e tre figli ed è diventata la donna cinica del suo tempo, il tempo del consumismo che autorizza tutto pur di dimenticare, in cui si presagisce un’orrenda rivoluzione che cambierà degli uomini vita materiale e animi. E’ a questo punto che compare il fantasma di Michele, il giovane intellettuale comunista di cui Cesira si è innamorata durante la sua fuga, anch’egli rimasto vittima della guerra, morto per salvare altre vite. Michele parla degli sconvolgimenti della società, parla di “omologazione”, termine oscuro negli anni da cui la vicenda prende il via. Si apre così nella mente della donna un varco che dà spazio ai ricordi, che la riporta a quei tempi di paure e di miserie, e sul palco ritorna “La ciociara” che tutti conosciamo.
Visionaria, audace ed onirica, la regia firmata da Roberta Torre. La cineasta milanese, alla sua prima esperienza teatrale, fonde e contamina lo spettacolo con le proiezioni, effetti, immagini e citazioni che dilatano lo spazio teatrale accentuandone la natura onirica, ma che in certi punti appesantiscono la narrazione, spesso coprendo cambi di scena che col procedere dello spettacolo diventano troppi e troppo ripetitivi, soprattutto se si considera la durata della piéce: un’ora e quaranta minuti circa, senza intervallo.
Il ruolo di Cesira, che fu la prima prova da star di una giovanissima Loren, consacrata dai critici, anche i più spietati, stella indiscussa del cinema mondiale e portavoce dell’alto messaggio di quello italiano, con un oscar a confermare la straordinarietà di quell’interpretazione, è affidato sulla scena ad una bravissima Donatella Finocchiaro; l’attrice riesce a tratteggiare con efficacia il ruolo della giovane vedova, forte e risoluta, anche se qualche inattesa defaillance le fa perdere qua e là vigore e apparire paradossalmente distante, poco sanguigna. Daniele Russo di-segna con sicurezza ed impeto il ruolo di Michele. Carbura durante il procedere dello spettacolo la giovane Martina Galletta nel ruolo di Rosetta. Conferma le sue doti di brava attrice Dalia Ferediani, che oscilla tra toni alti e cupi nell’interpretazione del personaggio di Concetta, quasi una “cattiva” da fiaba, che ospita le protagoniste durante il loro peregrinare. Misurati ed eccellenti Rino Di Martino e Marcello Romolo. A completare il buon cast Lorenzo Acquaviva, Marco Mario De Notaris  e per chi dice che non ci sono piccoli ruoli ma solo piccoli attori, ci piace applaudire Daniele Marino per la sua breve interpretazione dell’Ufficiale Tedesco.

Visto il 17-02-2012
al Bellini di Napoli (NA)