Prosa
LA DISCESA DI ORFEO

All'Elfo convince

All'Elfo convince

Quando entri in sala e ti accomodi al tuo posto in platea, la scena è aperta e gli attori entrano insieme al pubblico sul palcoscenico e poi si siedono intorno ad un tavolo. Come quando una compagnia di attori si trova per la prima volta a leggere un copione.

E’ a questo punto che dalla vita reale di una compagnia di attori che si sta accingendo a mettere in scena una piéce, si passa al teatro vero e proprio. La compagnia è quella del Teatro dell’Elfo diretta da Elio De Capitani che ha messo in scena a Milano al Teatro Elfo Puccini dallo scorso 16 ottobre al 4 novembre “La discesa di Orfeo”, un testo scritto da Tennesse Williams nel 1957, poco conosciuto e al quale lo scrittore mise mano più volte. Al punto tale che la primissima versione si intitolava “La battaglia degli angeli".
Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale lo scorso luglio al Festival di Spoleto ed è il terzo testo di Tennesse Williams che Elio De Capitani affronta dopo “Un tram che si chiama desiderio””Improvvisamente l’estate scorsa”.

Come sempre il regista, pur mettendo in risalto il nucleo principale della storia, gioca sul metalinguaggio e sullo straniamento brechtiano di attori che entrano ed escono dai loro personaggi recitando anche le didascalie del testo, descrivendo dunque le loro sensazioni, le loro emozioni, i gesti che stanno per compiere o le parole che stanno per pronunciare, creando un effetto di coralità ma nello stesso tempo di straniamento anche nel pubblico che vede continuamente i personaggi essere interpreti e narratori di se stessi.
Il testo racconta l’amore impossibile tra il bel tenebroso Val interpretato da Edoardo Ribatto, che qui suona anche la chitarra e canta molto bene e ha già alle spalle diverse esperienze teatrali con De Capitani. Ribatto qui punta sull’immagine del Don Giovanni decadente e ormai stanco delle sue capacità amatorie, il quale però nel suo ormai esaurito vagabondare fa rinascere il desiderio dell’amore in una donna non più giovane, Lady di origine italiana, interpretata da Cristina Crippa la cui materna carnalità ricorda quella di Anna Magnani che fu interprete nel 1959 del film “Pelle di serpente” di Sidney Lumet insieme a Marlon Brando.

Film appunto in cui l’Orfeo Marlon Brando di Tennesse Williams cerca di riportare fuori dall’inferno la povera Lady, sposata per soldi a un uomo ormai vecchio, malato e cattivo che l’ha trascinata nell’inferno di una vita senza senso e senso amore, sullo sfondo di una America razzista e perbenista di un mondo chiuso su se stesso.
"L’inferno sono gli altri" diceva Sartre, ma qui potremmo dire benissimo che siamo anche noi, quello che facciamo quando diventiamo intolleranti al punto tale da bruciare un uomo che si mostra benevolo nei confronti degli uomini di colore. E’ la fine che ha fatto il padre di Lady appunto, ucciso proprio dal marito che ha sposato e che alla fine ucciderà anche lei.
La bellezza della messinscena di De Capitani è quella di essere riuscito a creare una recitazione corale in cui tutti sono protagonisti di un gioco che passa continuante dal piano della realtà a quello della finzione attraverso una moderna tragedia greca che grazie ad un intelligente uso dei cambi repentini di tempo e di luogo e di spazio grazie agli attori che si muovono velocemente sul palco cambiando loro stessi le scene e le posizioni, riesce a dare l’effetto di un set cinematografico.
Di grande sensibilità e bravura Corinna Augustoni nei panni della moglie dello sceriffo Jach Talbott che il regista De Capitani ha ritagliato per se stesso come i cammei di Alfred Hitchcock nei suoi film. Molto convincente nel ruolo della giovane ricca e depravata ci è sembrata Elena Russo Arman nel ruolo di Carol Cutrere mentre sicuramente da citare è l’interpretazione alla Fassbinder della teutonica infermiera Porter impersonata dalla brava Debora Zuin.

Visto il 04-11-2012