LA DISTANZA DA QUI

Un esordio importante

Un esordio importante

La distanza da qui è la prima produzione del collettivo artistico DRAO creato da Nicole Calligaris, Alessandro Lui e Elia Bei, che mette in sinergia professionisti del cinema, del teatro (come la compagnia Vucciria) e della fotografia,  e si è avvalsa di una campagna di crowdfunding lanciata su Kapipal, cui hanno contribuito oltre cinquanta persone.

Il dramma, scritto da Neil LaBute nel 2002, portato in scena da Marcello Cotugno, è incentrato su tre
adolescenti, Darrel, la sua ragazza Jenny e il suo migliore amico Tim, che frequentano ancora le superiori, vivendo in un orizzonte caratterizzato da anaffettività e de-responsabilizzazione.

LaBute non si risparmia nel descrivere cinismi, insensibilità, bassezze dei suoi personaggi già dalla prima scena che vede Tim e Darrel allo zoo a prendere in giro gli scimpanzé, accusandoli di essere ignari della loro vita. Una allusione nemmeno troppo velata alla condizione dei due ragazzi  e degli altri personaggi della pièce: Cammie la madre di Darrel, che ha una relazione col giovane Rich; sua sorellastra Shari, che è madre a sua volta, e va a letto con Rich anche lei.

Nel descrivere i suoi personaggi LaBute non approda mai però al disprezzo (nella prefazione al testo dichiara di
conoscerli bene ma di averli sempre evitati e considerati morti e che questo testo è un tentativo di resurrezione) ma dimostra sempre di amarli trovando nelle loro relazioni, ignare e private di ogni futuro, una immensa tenerezza
che Marcello Cotugno riprende, facendone una delle coordinate della sua regia.

Una regia caratterizzata da un uso intelligente dello spazio, come quando ci mostra Darrel e Tim allo zoo dietro le sbarre, rivolgersi verso la platea che assume il punto di vista degli animali, in modo che a risultare in gabbia siano loro e non le scimmie.

Una regia che cura molto l’intenzione degli attori e delle attrici che non si basano quasi mai su cliché interpretativi ma sempre sul loro vissuto emotivo di interpreti,  tranne un paio di scene: quando un ragazzo, personaggio secondario, è sviluppato con una caratterizzazione non del tutto decifrabile e, ancora, quando il commesso di un negozio di animali, che svela a Darrel dei trascorsi di Jenny, è basato su alcuni stereotipi drammaturgici per sviluppare una scena a cavallo tra il comico e l’assurdo.

Più che a descrivere il contesto socio-culturale LaBute, e Cotugno, che asseconda il testo, descrive l’intatta naiveté dell’adolescenza fatta di un disperato bisogno di affetto,  dove ogni relazione interpersonale
è carica di un erotismo che si declina anche in una tensione omoerotica (Darrel con Rich e anche con Tim), pubblicamente usata come insulto o presa in giro ma che sottende e allude a un bisogno di riconoscimento, di modelli di riferimento e di amore incondizionato, tutti disattesi  (la madre di Darrel non ricorda nulla dell’infanzia
del figlio).

Un riconoscimento che, tra le righe del testo, assorda per la sua assenza, portando il pubblico ad amare i personaggi non per compassione ma per tenerezza (come quando, durante la pausa, i personaggi rimangono in scena a dormire, una bella invenzione di Cotugno) non importa cosa arrivino a fare.

Un testo ben trasposto a cominciare dalla traduzione (di Marcello Cotugno e Gianluca Ficca) che snellisce i
riferimenti più diretti alla cultura americana, senza aggiornarlo troppo alle contingenze, italiane e che risolve il problema dell’accento inglese con un uso molto discreto e intelligente della cadenza dialettale, emergendo, di tanto in tanto, come flessione sotterranea che caratterizza geograficamente i personaggi senza farli
diventare mai macchiette o dei tipi.

Molto convincenti gli attori e le attrici che provengono dal collettivo (tranne Alessia Giuliani con la quale Cotugno aveva portato in scena nel 2001 Bash, un altro testo di Labute).

Scene (povere ma funzionali alla messinscena) luci e partitura musicale (mai esornativa né troppo invadente) sono altrettanto curate dando prova che questo collettivo funziona e sa fare bene il suo lavoro.

Un nome da ricordare dunque quello di Drao, un collettivo da tenere d’occhio e sostenere anche con una assidua presenza in sala.

Avete tempo fino a Domenica 13.

 

Visto il 09-04-2014
al Sala Uno di Roma (RM)