Lirica
LA FANCIULLA DEL WEST

Come in un film

Come in un film

Nel 1905, dopo la composizione di Madama Butterfly, Puccini decide di sperimentare nuovi linguaggi musicali. Come suo solito, il maestro di Torre del Lago coglie l’occasione, a lui fornita dal libretto de La fanciulla del west, per attingere a un vasto repertorio melodico folkloristico da parafrasare, ma soprattutto giunge a concepire un’opera in cui brevi e scarse sono le frasi cantabili e dove i tradizionali numeri chiusi sono assenti, così che l’elemento musicale finisce per prevalere nettamente sul quello melodico.

L’allestimento di Robert Carsen, fin dall’inizio dell’opera, pone sul tavolo l’idea di un parallelismo molto chiaro fra La fanciulla pucciniana e il cinema western in bianco e nero. Ad apertura di sipario, infatti, lo spettatore viene proiettato all’interno di una sala cinematografica dove si trasmette la scena finale di My darling Clementine di John Ford, cui assiste in silenzio proprio quel pubblico di minatori che sul finale, in una sorta di ringkomposition, entrerà in fila ordinata all’interno di un cinema-teatro di Broadway per assistere alla proiezione di The girl of the golden west dalla cui originaria pièce teatrale di David Belasco deriva il libretto del melodramma di Puccini. I richiami al mondo dei western non finiscono qui: le rocce rossastre della Monument Valley dell’Arizona, protagoniste di tanti film, fanno da sfondo a tutto il primo atto; la stanza di Minnie del secondo atto, volutamente claustrofobica e tutta costruita in legno dal colore grigio scuro, richiama moltissimo alla mente l’idea di una pellicola in bianco e nero. Nel terzo atto i richiami al mondo cinematografico diventano ancora più espliciti perché, se in un primo tempo ci troviamo all’interno di una foresta, con l’arrivo in scena di Minnie veniamo immediatamente proiettati in una via di Broadway di fronte a un cinema-teatro: la protagonista è ora abbigliata come una diva anni Trenta, pronta a fuggire con l’amato, mentre tutti gli altri, forse per capire meglio se stessi e la necessità di addivenire a una scelta di perdono, dovranno assistere alla proiezione della pellicola che narra proprio le vicende della loro vita.

Magistrale la concertazione di Riccardo Chailly che non è riuscito però, a causa della sostituzione della protagonista avvenuta all’ultimo momento, a eseguire l’opera nella versione ripristinata secondo le originarie intenzioni dell’autore, priva delle modifiche che Toscanini operò in vista della prima esecuzione al Metropolitan. Bravissimo Chailly nel raccontare e descrivere ogni singolo momento della storia in musica e nel sottolineare con arguzia sempre nuova la straordinaria varietà e raffinatezza di linguaggi timbrici che pervadono con la molteplicità delle proprie sfumature una partitura complessa, la quale contiene in sé un po’ tutto il Novecento, da Debussy a Strauss alla scuola russa.

Solida, se si eccettua qualche lieve asprezza in acuto, la Minnie di Barbara Haveman che ben inquadra il personaggio di una donna volitiva, ma al contempo sentimentale: davvero toccante il finale in cui la Havemann si mostra in grado di rivestire le ultime battute dell’opera di straordinaria levità. Vocalmente gagliardo il Johnson di Roberto Aronica che fa sfoggio di un timbro squillante e piacevolmente ricco di armonici: perfettamente riuscita l’incarnazione di un uomo spavaldo, il quale cede però all’amore a da esso si fa trasformare tanto da divenire un eroe positivo che sprezza la morte proprio perché ormai ha conosciuto i veri valori della vita. Voce piacevolmente scura per il Jack Rance di Claudio Sgura, forse l’unico personaggio dell’opera che non subisce modificazioni sostanziali e che proprio per questo sul finale si ritira dalle scene prima degli altri, ancor chiuso nella rabbia che lo opprime a causa di un amore non corrisposto e, a suo parere, tradito. Di alto livello tutti i comprimari: il Nick di Carlo Bosi, l’Ashby di Gabriele Sagona, Il Sonora di Alessandro Luongo, Il Trin di Marco Ciaponi, il Sid di Gianluca Breda, il Bello di Costantino Finucci, l'Harry di Emanuele Giannino, il Joe di Krystian Adam, l'Happy di Francesco Verna, il Larkens di Romano Dal Zovo, il Billy Jackrabbit di Alessandro Spina, la Wowkle di Alessandra Visentin, il Jake Wallace di Davide Fersini, il José Castro di Leonardo Galeazzi e il Postiglione di Francesco Castoro.

Visto il 06-05-2016
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)