Oltre ad essere l'ultimo esito teatrale di Vitaliano Brancati, chiamato a concludere un cammino iniziato nel 1930 con l'atto unico "Everest", la commedia "La governante" è senza dubbio anche il suo capolavoro, e di gran lunga il suo testo più frequentato. Un capolavoro che porta a compimento quel formidabile percorso letterario iniziato alla fine degli Anni Trenta, e interrotto purtroppo dalla prematura morte avvenuta nel 1954; e che comprende, oltre ai racconti ed ai suoi celebri romanzi, anche soggetti e sceneggiature cinematografici di grande rilievo. Tutti lavori nei quali ritroviamo immancabile quell'acuta penetrazione e rappresentazione dei caratteri, che gli è propria; e con la disincantata osservazione dei costumi del suo tempo, la rappresentazione amara, caricaturale e talora grottesca, dei vizi e dei vezzi della gente di provincia. Tratti preziosi che fanno di Brancati un autore fondamentale, vitalissimo e sempre attuale. Perché possono passare gli anni, le mode, i costumi; ma i caratteri non mutano di molto, e nel fondo le persone rimangono sempre eguali a se stesse.
Nel suo mirino sta ovviamente soprattutto la gente della sua Sicilia anche se, come nel caso della famiglia Platania nella cui casa è ambientata "La governante", descrive una famiglia trapiantata da anni a Roma all'ombra del Cupolone. Com'è noto come si sa, lo scrittore di Pachino scrisse questa commedia dai risvolti amari e tragici per moglie Anna Proclamer, senza poter vederla sottoposta all'esame del pubblico: l'attrice ne fu infatti interprete insieme a Gianrico Tedeschi solo nel 1965, allo Stabile di Genova, in una fortunatissima produzione di Patroni Griffi (produzione preceduta, in realtà, da un modesto allestimento parigino del 1963). Un'ottusa censura, che aveva guardato solo all'argomento in sé e non al suo dibattimento scenico, ne bocciò infatti per oltre un decennio la rappresentazione, accendendo una querelle non solo letteraria, ma anche culturale e politica. Come ricordava la Proclamer, il diniego posto in quanto «contraria alla morale» fu molto doloroso per Brancati, che reagì con un tempestoso pamphlet dal titolo "Ritorno alla censura", polemizzando violentemente contro l'ottusità dei governanti e della burocrazia d'allora. «Moralità? La moralità italiana consiste tutta nel censurare. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno tutto il giorno, e dicono.» Queste frasi sferzanti messe in bocca all'annoiato scrittore Alessandro che frequenta casa Platania, sono né più né meno parole tutte sue.
Il tema dell'omosessualità femminile che dilania la governante Caterina è forte, molto forte - allora molto più che oggi - ma trattato dallo scrittore di Pachino con calda umanità e partecipazione; molto più 'pericolosi', probabilmente, apparvero agli occhiuti censori il fiero biasimo verso lo stolido dongiovannismo del giovane Enrico (ma che, espresso nei rimbrotti del padre, investe tutto l'arrogante maschilismo dei suoi coetanei), il disprezzo dell'ipocrisia di un cattolicesimo inesorabilmente vuoto di contenuti, e soprattutto le invettive contro una certa Sicilia veterobaronale dove i servi sono trattati come carne da macello.
A sessant'anni giusti dalla scrittura de "La governante" lo Stabile di Catania - che ne aveva già prodotto nel 2001-2002 un'edizione con la regia di Walter Pagliaro - ha voluto riproporlo al suo pubblico affidandone una nuova regia all'estro di Maurizio Scaparro, con scene e costumi di Santuzza Calì, musiche di Pippo Russo e luci di Franco Buzzanca: spettacolo accurato che risolve e snoda assai bene i due atti del testo di Brancati, scorrendo fluido e persuasivo in ogni momento. E meritatamente apprezzato, per quanto abbiamo potuto constatare, dal pubblico catanese che ne ha affollato tutte le recite.
Il bravissimo Pippo Pattavina è chiamato per la terza volta a impersonare Leopoldo Platania, e viene da dire che la parte sembra scritta apposta per lui: perché il personaggio del senile patriarca esce realistico, commovente, convincente in ogni dettaglio: come ad esempio nel murabile, muto smarrimento della lettura della missiva che porta al tragico epilogo della commedia. Giovanna Di Rauso è Caterina Leher, ma la figura dell'ambigua istitutrice calvinista non mi pare le riesca sempre del tutto plausibile, per certi eccessi di manierismo. Meglio presidiano la scena Giovanni Guardiano (il fatuo Enrico Platania), Veronica Gentili (la nevrotica moglie Elena), Max Malatesta (lo scrittore Alessandro Bonivaglia), Valeria Contadino (la serva Jana, la cui spontanea semplicità naïf è resa con superlativa bravura), Chiara Seminara (Francesca). Un plauso particolare al cameo dell'eccezionale Marcello Perracchio, nei panni - alquanto stracciati, e commiserabili - del rassegnato portiere spedito in prigione al posto del potente padrone.
Prosa
LA GOVERNANTE
La moralità italiana consiste tutta nel censurare
Visto il
al
Quirino - Vittorio Gassman
di Roma
(RM)