Prosa
LA GOVERNANTE

Lo straordinario genio di Brancati

Lo straordinario genio di Brancati

La commedia è stata scritta da Brancati nel 1952.

La governante del titolo è Caterina Leher, giovane francese assunta dal maturo Leopoldo Platania, di origini siciliane e borghesi, trasferitosi a Roma in un appartamento dalle finestre del quale incombe la cupola di San Pietro.

Leopoldo, cattolico, e Caterina, calvinista,  si intendono subito, entrambi sensibili a una moralità di cui credono di trovare un alto esempio l'uno nell'altra. Entrambi sono rosi da una colpa. Leopoldo di aver causato il suicidio della figlia in seguito a un rimprovero fattole per aver ballato troppo stretta ad un ragazzo. Caterina dalla propria omosessualità che vive come un vizio e che crede di scovare anche nelle altre ragazze, come nella bambinaia Jena, che accusa di averla molestata causandone il licenziamento.

La commedia venne censurata perchè contraria alla morale.
Brancati muore nel 54 e non la vedrà mai rappresentata verrà infatti messa in scena solamente nel 1963, a Parigi, e in Italia nel 1965.

Possiamo solo immaginarci l'impatto culturale che la commedia deve avere avuto sul pubblico italiano di allora, su quel pubblico borghese che andava a teatro, che Brancati riesce a descrivere con squisite doti di sintesi:  il maschilismo intergenerazionale degli uomini che si cela dietro il permessivismo di Enrico, il figlio di Leopoldo, che tollera che la moglie intrattenga relazioni sociali con altri uomini, inducendo in Leopoldo il disgusto per un comportamento ritenuto libertino, mentre Elena è fedele al marito ed è Enrico in realtà a correr dietro a tutte le gonne, anche quella di Jena;  la naiveté di Elena che nel suo interagire con gli uomini da pari cerca solo di affermare la propria soggettività di persona e subisce le avance dello scrittore suo ospite che le dà un bacio non richiesto; i conformismi e le ipocrisie di chi professa la religione, vecchia (il cattolicesimo poco osservato di Leopoldo) e nuova (l'integerrimità severa  di Caterina che induce Leopoldo a tornare a messa la domenica dopo tanti anni).

Il tono con cui Brancati racconta e descrive i suoi personaggi è squisitamente ironico e parodico dando così più rilievo al dramma e alla tragedia del pregiudizio che induce Leopoldo a cacciare Jena di casa nonostante la consideri quasi una figlia.

Un pregiudizio che Brancati contestualizza nella società italiana sulla quale per bocca dello scrittore Alessandro Bonivaglia, che compare nel secondo atto,  esprime dei giudizi precisi e profetici.

La moralità italiana consiste tutta nell'istituire la censura - dice Bonivaglia. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno e dicono tutto il giorno.

E Bonivaglia lo dice prima che la commedia venga censurata!

Ancora: non  ho  visto  mai  un ricco  italiano  proporre  una  legge  che  riduca  i  suoi  guadagni 
per aumentare il benessere del suo Paese
(e a teatro a questa battuta Bonivaglia riceve un applauso a scena aperta).

E infine: Nessuno in Italia legge libri o va a teatro. Vada nella Hall di un albergo, tutti gli stranieri hanno un libro davanti e leggono poi ce n'è uno che sta così (allunga le gambe socchiude gli occhi e allaccia le mani sul ventre): è un italiano.

Brancati anticipa così di 11 anni la famosa definizione che Pasolini dà della società italiana per bocca di Orson Welles ne La ricotta: Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa.

La commedia non poteva essere rappresentata nell'Italia prima del boom economico perchè la società italiana non aveva ancora gli strumenti del consumismo coi quali stordirsi e dimenticarsi dei propri difetti che, mutatis mutandis, sono gli stessi ancora oggi nel terzo millennio.


L'omosessualità femminile è la cartina al tornasole tramite la quale misurare il livello di civiltà del Paese di allora e di quello oggi e purtroppo non si puà che constatare che anche in questo aspetto la società criticata da Brancati non abbia fatto alcun passo in avanti.


Brancati mostra in maniera inequivocabile come l'accusa di essere omosessuali fosse talmente infamante da non necessitare di alcuna verifica, costando a chi ne veniva anche solo sospettato o sospettata (come Jena) lo stesso confino che il regime fascista aveva loro destinato.
Non a tutti gli omosessuali, che per Mussolini in Italia non c'erano, ma solo a quelli che non lo nascondevano e dunque, ostentando la propria omoaffettività, facevano politica e dovevano essere tolti dalla pubblica vista.


Un ludibrio talmente radicale da indurre Caterina stessa a non volersi liberare del senso di rimorso (Vogliono  togliermi  il  rimorso,  il  mio  rimorso,  il 
solo  bene  che  nella vita…
dirà a Leopoldo) inducendola ad accusare un'altra di un peccato che scorge in sé e godere del trattamento punitivo che quell'accusa causa in quell'altra persona come fosse rivolto a se stessa, secondo un meccanismo di odio indotto che ricorda quello provato dagli ebrei nei campi di concentramento. Campi di concentramento nei quali finirono anche le persone omosessuali.

Non sorprende perciò che nelle note di regia ci si precipiti a specificare che lo scandalo della commedia non fosse l'omosessualità.
Ci pare di ravvisare in questo mettere tra parentesi uno dei portati sociali analizzati da una commedia straordinaria e avanti coi tempi di almeno vent'anni come La Governante, ancora un atto di censura che finge di ignorare quanto il ludibrio contro l'omosessualità sia ancora oggi forte e tutt'altro che superato togliendo alla commedia uno dei motivi della sua importanza.

Non c'è bisogno di appartenere a una associazione di cultura omosessuale per aspettarsi di leggere nelle note di regia almeno due parole di denuncia sulla condizione di ammanco di diritti in cui ancora oggi, nel 2013, in Italia le persone omosessuali  e bisessuali sono costrette a vivere a causa degli stessi agenti sociali indicati da Brancati.
Invece si legge tristemente che il tema dell'omosessualità è solo un'apparenza o che l'omosessualità è un vizio.

Poco importa che Scaparro parli di tabù sessuali, perchè l'omosessualità è anche, se non soprattutto, una espressione di affettività e non una pratica sessuale da cronaca hard.

Una riprova che lo sguardo antropologico e sociale di Brancati aveva colto elementi così radicati nella nostra identità nazionale che a distanza di sessant'anni la classe borghese e intellettuale è ferma ancora su quelle posizioni ed è sempre più distante dalla vita reale del Paese.

La commedia di Brancati è straordinaria non solamente per le analisi che il suo autore vi fa ma anche per la struttura narrativa con la quale è stata sviluppata. Una struttura narrativa moderna per l'epoca con una cura precisa per la regia, specificata in didascalia nelle quali a volte sono esplicitati anche i sottotesti (il significato vero e sotterraneo dei dialoghi dei personaggi).

Didascalie che Scaparro decide di ignorare insistendo su vezzi e artificiosi meccanismi teatrali (l'aggiunta dell'inutile sipario di Jena che apparecchia la tavola tra il primo e il secondo quadro del primo atto che spezza il ritmo cancellando la modernità di una scansione narrativa a salti)  oppure nel finale dove in Brancati, dopo un attimo di sgomento, tutti quanti corrono verso la stanza dove Caterina si è impiccata (un momento di terrore in tutti prima di lanciarsi verso la porta dice la didascalia) mentre Scaparro fa chiudere il sipario sulla battuta dello scrittore (è lui a dare la notizia del suicidio) senza cogliere nei personaggi emozione alcuna.

Altri inutili orpelli sono la musica di commento che sentiamo quando la scena si fa elegiaca, quando cioè Leopoldo ricorda, con l'affetto di padre, la figlia morta suicida, ben diversamente che nell'originale dove la musica non è mai di commento ma sempre di scena con una precisa funzione connotativa e non esornativa.

Insomma la commedia messa in scena nel 2013 ha una regia che è molto più tradizionale di quella che Brancati aveva pensato 60 anni fa trascrivendola nelle essenziali didascalie.

Anche la recitazione risente di una regia troppo sbilanciata verso la commedia brillante come quando Scaparro sviluppa in maniera quasi comica i dialoghi tra lo scrittore ed Elena con l'effetto di non far prendere sul serio le critiche di Elena al bacio subito da Bonivaglia, facendola apparire più sprovveduta e naïf di quanto non sia davvero.

Una regia disinvolta e sbilanciata verso la commedia, che sacrifica il testo alla ricerca di una leggerezza che la commedia non ha, o, meglio, che la commedia impiega non per intrattenere ma per sostenere argomenti di tutt'altra portata, in questa edizione un po' messi tra parentesi.

 

Visto il 16-04-2013