Lirica
LA MANO FELICE / IL CASTELLO DEL PRINCIPE BARBABLù

Schönberg e Bartók nel luna park di ricci/forte

La mano felice / Il castello del Principe Barbablù
La mano felice / Il castello del Principe Barbablù

Stefano Ricci e Gianni Forte portano avanti da diversi anni una sperimentazione complessa intorno ai linguaggi della scena. Chi si aspetta l’ennesimo scandalo resta deluso. Lo spettacolo è forte ma non eccessivo.

Il Teatro Massimo di Palermo propone un dittico prezioso in un allestimento spiazzante e visionario. La mano felice di Schönberg e Il castello di Barbablù di Bartók, tanto vicini nel tempo quanto lontani per concezione estetica e tecnica compositiva, intessono un dialogo inedito dal quale emergono le profonde inquietudini della cultura europea nell’imminenza della Grande Guerra.

Un connubio (parzialmente) riuscito

Stefano Ricci e Gianni Forte portano avanti da diversi anni una sperimentazione complessa intorno ai linguaggi della scena. Nella varietà delle loro proposte, spesso accompagnate da stupori e polemiche, alcuni elementi restano costanti fino quasi a configurarsi come ingredienti di un marchio di fabbrica collaudato e riconoscibile; tra questi, l’importanza fondamentale del dato corporeo, l’approccio globale al costrutto teatrale, l’erosione dell’intangibilità sacrale del testo. Ma cosa accade quando la premiata coppia si confronta con l’opera in musica? I processi di scomposizione e straniamento funzionano anche entro il recinto del pentagramma? La fisicità e la gestualità dei cantanti si prestano alle arditezze del gioco plastico? È con questi interrogativi in mente che il pubblico, indeciso tra curiosità e scettiscismo, si accosta alla duplice messinscena palermitana.



Chi si aspetta l’ennesimo scandalo resta deluso. Lo spettacolo è forte ma non eccessivo, più interessante che provocatorio. Pur rispettando l’autonomia dei due pannelli, gli ideatori puntano a una rappresentazione unitaria, che si snoda senza soluzione di continuità per circa novanta minuti. All’apertura del sipario, mentre l’azione prende avvio, si ascoltano le note della Musica di accompagnamento per una scena cinematografica op. 34 di Schönberg, utilizzata a mo’ di ouverture. Inoltre, tra le due brevi pièces è inserito un monologo recitato appositamente scritto da Ricci e Forte. Quest’ultimo collega i due lavori attraverso la sottolineatura di un elemento tematico comune: la difficoltà, se non l’impossibilità, che i soggetti di un rapporto amoroso si aprano realmente alla conoscenza reciproca. Se l’intenzione è buona, l’esito non può dirsi del tutto persuasivo: il testo, oltre che un po’ verboso, sembra non trovare una sua cifra caratteristica e resta incerto tra luogo comune e meditazione esistenziale.

Tra pagliacci e infermiere

La Mano e il Castello condividono non solo l’interprete principale (l’ottimo Gábor Bretz), ma anche alcuni elementi scenografici (progettati da Nicolas Bovey), sebbene presentati in modo diverso. Le due vicende sono collocate in spazi indefiniti e vagamente inquietanti. La prima si svolge in un contenitore che ha in sé il circo e l’ospedale. La seconda è avvolta in un’atmosfera nell’insieme più cupa, perfettamente adeguata a rendere l’ossessione claustrofobica della dimora di Barbablù.


In Bartók, Ricci e Forte evitano sistematicamente l’approccio didascalico; alle sanguinose visioni di Judit, ad esempio, non corrispondono mai immagini esplicative, bensì suggestioni dotate di forte carica evocativa. La scena è popolata di performers che agiscono con splendida precisione tra slanci e spasmi, archi continui e moti trattenuti. Più convenzionale, semmai, risulta la gestualità dei cantanti (a Bretz, nel Castello, si affianca con bravura Atala Schöck).
La lettura musicale fornita da Gregory Vajda risulta energica e convincente. Il maestro ungherese guida l’orchestra del Massimo con piglio sicuro e si rivela capace di adeguare la propria bacchetta alle diverse inflessioni stilistiche richieste dai due compositori.

La platea, nella quale si contano non poche defezioni, applaude più con tepore che con pieno calore.

Visto il 20-11-2018
al Massimo di Palermo (PA)