La mela di Alan si interroga sulle vicende professionali e private di Alan Turing il grande scienziato mitizzato più che davvero studiato autore del un codice informatico che contribuì decriptare Enigma la macchina usata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Uno dei primi teorizzatori dell'intelligenza artificiale, Turing fu vittima delle leggi omofobe inglesi che gli imposero di scegliere tra la galera e la castrazione chimica.
Per interrogare Turing ed esplorare le sinergie di un suo test atto a determinare se una macchina sia in grado di pensare come l'uomo (cioè gli esseri umani di entrambi i sessi) la drammaturga Valeria Patera pensa bene di alternare sulla scena la vita privata e lavorativa di Turing con i commenti di due hacker dei primi anni 90 che fungono da contrappunto.
Il testo manca però del necessario rigore scientifico nel presentare alcuni presupposti epistemici sull'intelligenza artificiale e sulla filosofia della scienza in generale per quello come l'unica opzione sul campo, secondo uno stile provocatorio e poco scientifico usato dall'epistemologo Feyerabend che Patera cita in esergo al testo dello spettacolo, pubblicato per i tipi della Di Renzo editore nel 2007 (lo spettacolo ha debuttato sotto forma di studio nel 2005), tanto di moda egli anni novanta quanto giustamente ridimensionato oggi dalla comunità scientifica e filosofica internazionale.
La parte dello spettacolo che riguarda la vita di Turing è scritta seguendo il più canonico degli stilemi del teatro borghese: i personaggi parlano senza che nulla davvero accada in scena, alternando le disquisizioni filosofiche con quelle della vita privata di Turing, ammannendo le reprimende del fratello per il suo orientamento sessuale (ridotto alla mera inclinazione sessuale e non, anche, di coinvolgimento affettivo) dove anche la regia è scolastica facendo caratterizzare il padre di Turing con la voce impostata da uomo adulto secondo la vecchia usanza del doppiaggio cinematografico anni '50...
Dei dialoghi non facili da seguire che si riferiscono senza mai davvero chiarirli a concetti difficili per un pubblico poco informato di intelligenza artificiale al quale Patera non fa la cortesia di attestarsi su un lessico comprensibile e rigoroso ma, forte delle ecolalie di Fayerabend, si inoltra in una sorta di panteismo a-scientifico new age nel quale le macchine per diventare pensanti devono poter assumere la struttura del cervello umano come questa fosse precedente alla cultura (in senso antropologico) dimenticando, come ha dimostrato inesorabilmente Wittgenstein, che la lingua umana è un gioco le cui regole sono deducibili solamente dal contesto comunicativo che cambia anche al cambiare della società e della storia.
Il Turing pubblico si riduce dunque a un citazionismo autoreferenziale visto che solo Patera, forte dei suoi studi di filosofia teoretica, può cogliere con la necessaria cognizione di causa il portato di ogni frase detta da Turing che a pubblico di non addetti ai lavori cui si rivolge lo spettacolo si attesta nella semplificazione da biopic al pubblico del quale basta ascoltare del latinorum approssimativo per apparire impegnato e complesso.
Il contrappunto degli Hacker è ancora più deludente. Gli inserti non sono davvero video ma audio visto che i due hacker non si vedono ma si limitano a un commento radiofonico disgustosamente maschilista e vagamente misogino nonché irresponsabilmente omofobico dove essere gay è ancora motivo di discriminazione.
L'attestazione degli hacker agli anni 90 tutta giocata su delle stereotipizzazioni grafiche à la matrix (il codice binario animato...) dove i microchip prendono vita come fossero insetti in animazioni da computer graphic naïf è necessaria a Patera per permetterle di giocare coll'ambiguità della identità sessuale delle persone nella rete (uno dei due hacker scopre di chattare con una suora dopo aver pensato, chissà mai perchè, che la stessa persona fosse un gay, non un uomo tanto basta a escluderlo dal raggio di interesse di un uomo eterosessuale, ma proprio un gay) che per Patera ben si sposa con l'ambiguità dell'identità sessuale (sic!) di Turing tanto che in un saggio pubblicato tra gli apparati del testo Patera arriva ad affermare che in Turing il tema dell'identità e del genere: è una domanda che non riguarda prima di tutto come uomo che non si ritrova in una identità sessuale.
Evidentemente, ancora nel 2005, Patera non considera l'orientamento sessuale gay come una opzione di default ma come una variante ambigua e alternativa dell'unica identità sessuale canonica.
Un equivoco (e il pregiudizio sottostante) che Patera reitera quando crede di trovare nel test di Turing per identificare un uomo o una donna in base alle differenze insite nel lessico da loro usato una origine davvero legata al genere e non agli stereotipi di genere (dall'idea cioè che si ha del maschile e del femminile in una determinata epoca) di origine sociale, proprio come crede che il maschio sia biologicamente programmato per essere attratto dalle femmine e non anche dagli altri maschi (d'altronde per il pensiero di Patera la bisessualità non è mai contemplata costituendo quel tertium non datur aristotelico e che invece, proprio l'epistemologia del novecento ne ha dimostrato non solo l'esistenza ma anche la necessità.
Infine prendendo un grosso abbaglio, Patera ci racconta di come Turing abbia potuto evitare la galera sottoponendosi all'Organo Terapia per essere curato dalla sua omosessualità1. In realtà l'assunzione coatta di estrogeni, ormoni femminili, non serviva a curarlo dall'omosessualità (fosse stata una cura per l'omosessualità avrebbero dovuto somministrargli ormoni maschili e non femminili) ma a ridurne la libido (castrazione chimica). Non potendo curare Turing il governo inglese pensava di renderlo almeno sessualmente inoperante così da non poter consumare sesso.
Patera è invece più interessata agli effetti secondari di questa vera e propria castrazione chimica quali l'ingrossamento dei seni e dunque all'alterazione di un corpo che Turing non sente più suo.
La mela di Alan è un testo che non trova una sua vera ragione di essere né come teatro didattico della scienza, né come teatro di denuncia - anzi il pubblico esce dalla sala corroborato nella convinzione maschilista che ai gay le donne non piacciano -, e nemmeno come spettacolo di puro intrattenimento troppo incentrato a dire piuttosto che a mostrare, in un teatro di parola che potrebbe subire una trasposizione radiofonia senza perdere nulla della sua essenza, nonostante le buone intenzioni della sua autrice, ma, come dice il proverbio, di buone intenzioni sono lastricate le vie dell'inferno.
1) aveva dovuto sottoporsi ,allo scopo di estirpare la sua "devianza" sessuale,a pesanti
iniezioni di estrogeni che gli procurarono inquietanti mutazioni fisiche Valeria Patera LA VISIONE DELLA CIPOLLA Intuizione e pratica dell'Intelligenza Artificiale