Danza
LA NATURA DELLE COSE

La Natura delle cose, creazio…

La Natura delle cose, creazio…
La Natura delle cose, creazione del 2008 di Virgilio Sieni, è la prima sua coreografia che si basa sul poema filosofico-enciclopedico di Lucrezio, De rerum natura. Sulla scena cinque danzatori più che bravi (Ramona Caia, Massimiliano Barachini, Jacopo Jenna, Csaba Molnar, Daniele Ninarello), compatto quartetto di uomini e una figura femminile metamorfica e sempre presente, come la Venere-dea dell’atto generativo evocata da Lucrezio all'inizio del suo poema ed elemento a cui si ispira lo spettacolo. Il testo di accompagnamento, adattato dal filosofo Giorgio Agamben e letto dalla cantante Nada Malanima, è il respiro dello spettacolo, come il verso ripetuto più volte: "Improvvisamente mi afferra una divina letizia e, insieme, l'orrore", è il respiro del poema. Attraverso elementi sottili, dove la luce si sostituisce al corpo e i corpi galleggianti al senso del vuoto, un unico corpo abita la scena, complesso, che comprende altre forme. Venere è presenza umana e pupazzo, si muove in sospensione corporea o discende lentamente fino a terra. Gesti silenziosi, senza peso. Virgilio Sieni fissa “un’esigua inclinazione degli atomi, in un punto indeterminato dello spazio e in un incerto momento”. Lo spettacolo incontra lo spirito e gli intenti del filosofo latino: come Lucrezio dà vita a un discorso scientifico sul movimento degli atomi e dei corpuscoli per arrivare a individuare all'interno delle cose una dialettica tra delizia e orrore, tra nascita e morte, così la coreografia di Sieni definisce una poesia fisica e richiama uno sguardo pronto ad aprirsi su accadimenti estremi, che sfuggono alla razionalità: i corpi si mostrano allo stesso tempo ricoperti di simulacri e denudati, esposti al vuoto. E’ riprodotto visivamente il processo materico, l’inclinazione spontanea – clinamen – dei semina rerum, che in punti imprevedibili deviano dalla traiettoria e nell’urto generano corpi visibili. In un ambiente ovattato si celebra la liturgia della creazione segnata da tre scene in cui è protagonista la figura di Afrodite, prima adolescente, poi bambina e infine anziana. Tre età maschere per questa pièce filosofico-coreutica che tocca con raffinatezza temi inesplorati. Per rappresentare il movimento degli atomi nello spazio vuoto, Venere-adolescente resta sospesa nelle mani di quattro partners: la sollevano, la rigirano, la spostano, e alludono, impedendole di toccare terra, al moto sospeso dei primordia rerum. La danzatrice Ramona Caia plana e s'invola; si abbandona senza peso; s'intreccia e si snoda come una marionetta. Gli interpreti disegnano nell'aria traiettorie palpitanti, respiri affannosi, silenzi meditativi. Infine Amore, vittima dei “simulacra”, affida a Venere anziana il compito di ribadire l’illusorietà di questo sentimento. Simulacri sono gli amanti illusi da Venere. Si avvincono come a volersi saziare del suo corpo, confondersi con le membra snervate, si sciolgono affranti. Ritornano. Venere è principio d'incanto, impulso al movimento, origine della natura. In questa coreografia la danza scorre veloce e leggera, con movimenti ora franti e continui, ora lenti e veloci, ora lineari e rotanti, ora in aria, ora a terra. Restano sospesi tre passaggi comparsa, quasi cesure: nel prologo l’immagine lynchiana di una testa di cavallo, che spunta dal velario centrale di un palcoscenico nero, circa a metà spettacolo l’apparizione altamente suggestiva di un’enorme mano sul fondo, e nell’epilogo un enigmatico cervo dalle lunghissime corna, che sparisce strisciando sotto il velario laterale. La sequenza più intensa è quella iniziale, i quindici o più minuti in cui Venere fanciulla volteggia nell'aria sorretta e agìta da quattro danzatori come minuscoli atomi esplosi. E’ una coreografia avvolgente e tesa, con combinazioni plastiche simili a blocchi scultorei, che ripete se stessa con piccole varianti. Cambia solo il volto di Venere. E’ una danza su ciò che si ignora sul divenire dei corpi, una sfida alle leggi di gravità traducendo in coreografia le teorie fisiche del De Rerum Natura. Il vuoto non è riempito, si manifesta epifanico e avvolto in uno spazio scenico inglobante, nebuloso, che aleggia tra drappi bianchi come sospeso tra cielo e terra. Sieni e gli stessi interpreti puntano sempre più all’essenzialità: un flusso ipnotico di movenze incessanti, lo scorrere dei corpi nello spazio vuoto, la rigidità delle maschere bianche che rappresentano l’infanzia, l’età adulta e la vecchiaia. Sessanta minuti si contraggono in un istante di pura folgorazione. “Varcando gli spazi che accolgono i corpi, immagino sempre un danzatore, o un angelo, un beato senza organi, che fa nascere il ballo da una sempre tenuissima e tesissima musica interiore”: Virgilio Sieni ha il dono di stupire lo spettatore, colpito dalla complessità. La messinscena del vuoto, in cui gli atomi, aggregandosi e disgregandosi, danno origine agli elementi in base al principio epicureo che “nulla nasce dal nulla”, è perfettamente riuscita. La musica originale di Francesco Giomi, accarezza le forme aeree dei movimenti coreografici come vento o acqua, ed evoca per un’ora, con tono tenue, l’incantato, “quell’impulso al movimento che si genera dal cuore, e che prima procede dal volere dell’animo, poi si diffonde a tutto il corpo e le membra” (Lucrezio).
Visto il 22-11-2009
al Cavallerizza di Reggio Emilia (RE)