Lirica
LA SCALA DI SETA

Una perfetta sinergia teatro-università

Una perfetta sinergia teatro-università

Da ragazzino o poco più – il che vuol dire svariati decenni fa, ahimé - con le prime mancette vennero i primi acquisti di dischi, ad alimentare una passione che non è venuta mai meno. Tanto che la casa straripa di materiale sonoro, e io finirò un giorno o l’altro in strada per far spazio alla musica. Bene: tra le prime cose acquistate, ci fu un diffusissimo “Barbiere  di Siviglia” Decca diretto da Alberto Erede, con un cast per quei tempi stellare (Bastianini, Simionato, Corena, Siepi), ed una registrazione RCA de “La scala di seta” oggi credo introvabile, con una giovane e brillante Graziella Sciutti guidata da Franco Ferrara, artista poco incline al microsolco e straordinario didatta dell’arte della direzione. Li conservo con affetto ancora oggi, quegli elleppì, in tempi nei quali con 140 euro puoi acquistare in Internet una chiavetta USB con tutto Bob Dylan (cioè suppergiù 40 dischi), o con 100 euro tutto Mozart in CD.
Con quei primi acquisti, scoprivo ed affrontavo il Rossini maggiore ed insieme quello minore: ma quanto ‘minore’ può essere il Rossini de “L’inganno felice”,  de “La pietra di paragone” ed appunto de “La scala di seta”, quello cioè delle farse giovanili? Minore perché più breve e conciso, se vogliamo, e perché il genio si è ancora tutto dispiegato appieno; non certo perché sia meno importante, né meno interessante e valido. Prendiamo la scintillante sinfonia de “La scala di seta”,  prima delle grandi pagine strumentali del Pesarese, nella quale un’inarrivabile freschezza melodica ed un sapiente dosaggio dei colori e dei timbri fanno tutt’uno con un dinamismo scattante, vorticoso, inarrestabile. Prendiamo le tre grandi arie dei protagonisti Dorvil, Giulia, Germano che stanno al suo interno, create per un cast nel quale primeggiava un basso formidabile come Nicola De Grecis, ma agivano anche interpreti di tutto rispetto quali il soprano Maria Cantarelli ed il tenore Raffaele Monelli; e poi il delizioso e malizioso confronto in 2/4 tra Giulia e Germano, ed il fenomenale quartetto Giulia/Dorvil/Blansac/Germano basato su uno scattante tema in ‘staccato’, gustosa anticipazione di un “nodo avvilluppato” certo più noto ai nostri lettori.
A prima vista, qualcuno pensa che non ci sia molto da fare portando in scena una farsa rossininiana, come fosse cosuccia da poco; ma non è così. Già una dozzina di anni fa, mi pare nel 2002, il Teatro Malibran di Venezia – espansione del Gran Teatro La Fenice – aveva presentato una “Scala di seta” scenicamente deliziosa, ambientata com’era in una soffitta popolata da topolini e pipistrelli, e riempita di tante cose vecchie. Questa proposta d’inizio 2014 in apertura di Carnevale è invece una nuova, ulteriore tappa della collaborazione tra Fondazione Fenice e la Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, riguardante la messa in scena delle farse di Rossini con la regia di Bepi Morassi e l’intervento di docenti ed allievi del prestigioso istituto veneziano. Sinergia assai positiva, della quale abbiamo già parlato riferendo degli episodi precedenti (“L’inganno felice”, “La cambiale di matrimonio”, “L’occasione fa il ladro”).
A capo di un’orchestra - quella della Fenice un po’ alleggerita – mostratasi duttile e precisa, Alessandro De Marchi ha compiuto un’impresa non facile: esaltarne tutte le buone qualità, farla dialogare a perfezione con i cantanti, trovare sempre il colore ed il tono giusto, donando il massimo rilievo ad ogni pagina della partitura ad iniziare dal una perfetta Sinfonia. Detto in altre parole, è riuscito a consegnare un Rossini musicalmente ineccepibile, sempre vario nell’espressione, pieno di fantasia e di arguzia, giocando con gli interpreti mentre gli strumenti ricamano il canto delle meravigliose trovate rossiniane. Persino il fortepiano di Maria Cristina Vavolo agiva con squisita creatività, mai noioso e ripetitivo, pronto non solo ad accompagnare ma pure a commentare a modo suo. Ad esempio, nel come riesce ad evocare i rintocchi della mezzanotte, prima dell’atteso randez-vous notturno. Una concertazione ideale e da prendere a riferimento, questa di De Marchi, per ricordare come dovrebbe essere eseguito – e quasi mai lo è - questo incantevole repertorio.
Ci sono poi i cantanti, con due compagnie, la seconda delle quali sarà diretta, nelle due ultime recite in programma da Maurizio Dini Ciacci, e composta da allievi del Conservatorio Benedetto Marcello sostenuti dall’Orchestra dello stesso istituto. Altra utilissima iniziativa didattica della proposta ‘Atelier della Fenice al Teatro Malibran’. La prima compagnia, quella destinata a sostenere le prime date e che abbiamo appena sentito, propone i nomi già noti di Irina Dubrovskaya (una Giulia piena di grazia di spirito, dalla coloratura nitida e dal fraseggio elegante, delicatamente maliziosa nel duetto con Germano e perfetta nell’articolata aria “Il mio ben sospiro”), Paola Gardina (ottima Lucilla), Omar Montanari (un Germano assai divertente, assai ben tratteggiato nella servile dabbenaggine), Giorgio Misseri (un Dorvil pieno di buona volontà, e nell’insieme piacevole, ma con qualche debolezza nel non facile cimento dell’aria “Vedrò qual sommo incanto”), Claudio Levantino (un Blansac brillante, dal bel timbro e ben calibrato vocalmente) ed  infine David Ferri Turà (Dormont).
Ancora una volta, la sinergia tra Fenice e l’Accademia di Belle Arti di Venezia ha ottenuto esiti più che lusinghieri: la felice ambientazione negli Anni Venti-Trenta, piena di suggestioni Decò, funziona benissimo; le scene di Fabio Carpene appaiono veramente deliziose, spartendo il fronte scenico in due grandi sezioni unite da un ascensore dal quale entrano ed escono i personaggi; la regia di Bepi Morassi, ispirata al clima dei musicals di Broadway (con contorno di vaporose ballerine in struzzo e paillettes) si mostra sembre leggera e naturale, mentre regge ed asseconda con sottile humour e con piccole, gradevoli trovate il ritmo vorticoso del libretto del Foppa; gli abiti ideati da Sofia Farnea – specie quelli di Giulia e Lucilla – sono gradevoli e vezzosi; le luci di Jovan Stankic assolutamente perfette. Ma quello che più conta, è che alla messainscena hanno collaborato – chi più, chi meno – docenti ed allievi della Scuola venezia, compresi quanti si sono occupati - anche manualmente - delle costruzioni, dell’attrezzeria, della sartoria, coinvolti tutti in uno straordinario gioco di squadra.
(Potete avere un assaggio dello spettacolo in You tube, se vi punge vaghezza, al link: https://www.youtube.com/watch?v=Nr95E4OZCzs#t=119)

Visto il
al Malibran di Venezia (VE)