LA SPIAGGIA DEI SENZA DIO

Un memorabile risarcimento

Un memorabile risarcimento

E' in scena, fino a domenica 2, La spiaggia dei senza dio di Ennio Trinelli, nell'ambito del festival Memorie dimenticate  incentrato sul recupero delle Memorie: quelle legate alla deportazione e uccisione di omosessuali, lesbiche, ROM, diversamente abili, Testimoni di Geova, alle Moderne Deportazioni, quelle che
dimentichiamo noi che pensiamo di vivere nel mondo civile
, come si legge nella pagina di presentazione del Festival che, oltre allo spettacolo teatrale, ha visto un ricco programma di incontri, dibattiti e concerti.

La spiaggia dei senza dio prodotto da Gaiaitalia.com in collaborazione con GAYCS, racconta delle vicissitudini di due giovani, lo  studente Eugenio, confinato in una piccola isola del Regno durante il ventennio, in quanto omosessuale, e dunque nemico della razza, e di Ragazzo, un giovane del luogo che si innamora di lui e, senza soluzione di continuità, racconta delle travestita Sandrine contesa tra il Prefetto di Roma e un gerarca fascista.

La scrittura di Trinelli sorprende per la capacità evocativa con la quale, con pochi sapienti dettagli, porta in scena un determinato e preciso periodo storico trovandone subito il nucleo contemporaneo, una contemporaneità omofobica e patriarcale che affonda le sue radici nell'antropologia, come avrebbe detto Pasolini, della società italiana che vede il sesso come strumento di controllo ed esercizio della sadica espressione di un sé maschile, ipertrofico ed ecolalico, al quale lo spettacolo contrappone la spontanea e disinteressata affettività di Ragazzo che fa l'amore con Eugenio perchè il desiderio sessuale che prova per lui nasce da un sentimento incondizionato e spontaneo di amore.

Già andato in scena, il testo è stato scritto nel 2006, La spiaggia dei senza dio approda a Roma al teatro Agorà, in una versione più asciutta e quasi astratta.

I dialoghi con i due gerarchi fascisti e il Prefetto avvengono senza la comparsa in scena dei tre personaggi stagliando Sandrine (un indimenticabile Michelangelo Spinella) come presenza assoluta e icastica, simbolo di una alterità al potere costituito, vittima eppure complice, suo malgrado, di un discorso sul sesso distorto da un potere patriarcale (e paternalistico)  che per certi versi  ricorda quello, tremendo, del film Salò.

La spiaggia dove Eugenio e Ragazzo si incontrano non ha alcun riscontro sulla scena vuota, se non nel sostegno sonoro di un vento sabbioso, lasciando tutta la fatica di evocare situazioni e spazi, ai due attori tramite il loro linguaggio del corpo e i loro movimenti, compresi gli sguardi ossessionati alle guardie che li controllano a vista.

La regia precisa, ardita e molto avanti, affida infatti al linguaggio del corpo e al comportamento di Ragazzo e di Eugenio il sottotesto di un racconto che sa vedere nella disinvoltura semplice e priva di sovrastrutture di Ragazzo quella capacità di andare oltre e di amare senza mediazioni ideologiche e con una schiettezza e una disponibilità a mettersi in discussione adorabili che, invece, il borghese Eugenio è incapace di provare, tutto imbrigliato com'è in una costruzione sociale dell'omosessualità della quale è al contempo vittima e ideatore.

Dalla retorica dell'omosessuale cattivo perché visto così da tutti (in realtà vissuto in questi termini dallo stesso Eugenio per una sua incapacità di scrollarsi di dosso lo stigma contro l'omosessualità che evidentemente fa parte delle sue coordinate esistenziali non come vittima ma per affinità ideologica appartenendo alla stessa classe sociale che lo ha mandato al confino) alla durezza con cui la famiglia di Eugenio ha reagito al suo confino (solo il fratello Franco gli scrive ancora delle lettere, di nascosto, accogliendolo per quello che è senza riserva alcuna) il testo di Trinelli individua tutti i punti nodali dell'interdetto dell'amore omoerotico, un interdetto che è rimasto essenzialmente lo stesso da allora.

Un racconto che, prima e al di là dei dialoghi del testo, si nutre della recitazione (sostenuta da un uso narrativo delle luci che necessita giusto di una piccola messa a punto per raggiungere la pienezza di efficacia) dei suoi interpreti:
da quella magnifica di Spinelli la cui sola presenza scenica parla già a quella di Alberto De Rose, che restituisce tutti i tic e i blocchi psicologici di Eugenio, omosessuale sprovveduto e primo nemico di se stesso, mentre Beppe Dioguardi si dona con totale generosità (compreso un fulmineo nudo integrale, unica concessione al pubblico di uno spettacolo che altrimenti non gli fa sconti) al personaggio di Ragazzo, dandogli estrema credibilità sia quando chiede, con spirito monello,  un bacio a Eugenio, sia quando gli confessa le sue fantasie erotiche dicendogli che con lui farebbe volentieri quelle cose lì perchè lo desidera davvero non come con quel vecchio porco di guardia fascista che vuole obbligarmi a fare quello che non voglio.

Prima ancora che per l'analisi politica e antropologica del potere, prima dell'indicazione del sesso usato come strumento perverso e malato di controllo e coercizione, prima ancora della denuncia di uno stigma coltivato persino dalle sue stesse vittime, prima ancora della scrittura colta ed elegante di Trinelli, che agisce su diversi livelli narrativi approntando un discorso molteplice e dai continui risvolti critici,  La spiaggia dei senza dio si impone e lo si ricorda, portandolo per sempre nel cuore, come risarcimento morale dell'amore tra ragazzi, dipinto con un rispetto e un affetto che commuovono perchè la foia e il sesso entro le cui anguste maglie lo si pretende di relegare, vengono scalzate da un moto di affetto, da un sentimento  di amore sincero e vero costruito e coltivato su una disponibilità ad ascoltare e accogliere l'altro dalla quale abbiamo tutte e tutti da imparare non importa in quale orientamento sessuale ci identifichiamo.

Un risarcimento morale non soltanto per le persone omosessuali dunque ma per le persone tutte perchè La spiaggia dei senza dio  (di)mostra come l'amore che non osa dire come l'amore sia lo stesso e quello che lega Ragazzo a Eugenio riguarda tutti e tutte, e come sia facile riconoscerne la dignità e accoglierlo con la dovuta dignità proprio come fa Franco con suo fratello Eugenio quando gli scrive a me non mi interessa a chi vuole bene mio fratello. A me mi interessa che mio fratello mi vuole bene e io ne voglio a lui.

Lo spettacolo, in scena fino a Domenica 2 Febbraio, prevede una modifica nel cartellone: Ennio Trinelli ha pensato bene di chiamare un altro attore, Marco Martino e fargli interpretare sia Eugenio (giovedì 30 gennaio) sia Ragazzo (venerdì 31 gennaio).

Così, visto che gli stessi personaggi, anche nello stesso allestimento, umanamente cambiano quando a interpretarli è un altro attore, dovremo tornare a evincervi del contributo che Martino darà allo spettacolo. 

E l'atto unico di Trinelli acquista così ancora altro spessore...



La novità di Marco Martino

Come anticipato torniamo a parlare de La spiaggia dei senza dio per rendicontarvi dei cambiamenti d'organico tra gli attori: Marco Martino ha interpretato tanto Eugenio quando Ragazzo dando allo spettacolo un tocco diverso e personalissimo alla riuscita dei due personaggi. Alcuni piccoli cambiamenti nel testo fatti da Trinelli in corso d'opera giustificano vieppiù queste note aggiuntive che scriviamo per spirito di servizio e non per la stima o l'amicizia che ci legano allo spettacolo e al suo autore-regista nonché agli attori e tenici tutti.

Due le novità maggiori nel testo.

Quella più corposa è l'aggiunta di un monologo nel quale Ragazzo racconta a Eugenio una storia emblematica su due amici  che si seguono a distanza nell'arco della loro intera esistenza e quando uno dei due muore è l'altro a seppellirlo nella fossa scavata con le sue stesse mani; poi, quando muore a sua volta, viene seppellito accanto all'amico dagli abitanti dei villaggi che hanno assistito alla loro amicizia lontana ma vicina.

Un racconto che è quasi una poesia e dà spessore ulteriore alla pièce nonché complessità al personaggio di Ragazzo la cui semplicità dovuta alla classe sociale umile è dunque più una semplificazione fatta dallo sguardo  di Eugenio che un dato di fatto.

L'altra aggiunta degna di nota è una semplice parola che da sola cambia completamente il senso e l'inquadramento generale del contesto in cui Eugenio, così come lui lo racconta a Ragazzo, scopre l'omo-erotismo.

Mentre nel testo del 2006, quello andato in scena i primi tre giorni di repliche, le mani che fanno scoprire a Eugenio il significato dell'espressione senza dio - che ha sentito usare da sua madre senza capierne il senso (i senza dio sono i ragazzi ai quali piacciono i ragazzi) - sono quelle di un compagno di classe, nelle repliche successive diventano le mani di un prete.

Un cambiamento infelice, anche se fatto per caratterizzare il punto di vista colpevolizzante di Eugenio, che rischia di gettare sulla scoperta dell'omo-erotismo del personaggio un'ombra di costrizione e di mancata felicità che, anche se si erge come denuncia di un sopruso (in maniera ideologica però,  visto che i dati di telefono azzurro vedono la pedofilia consumarsi in sagrestia solo nell'1,2 % dei casi), annoverano la scoperta dell'omo-erotismo tra gli eventi coartati,  per loro natura privati di quella legittimità gioiosa e spontanea che, comunque si viva personalmente quella scelta, erano precedentemente incarnate dall'innocenza maliziosa dalle mani di un compagno di scuola suo pari.

Una scelta facile, che rischia di appannare quel risarcimento all'omosessualità cui facevamo menzione anche nel titolo della nostra recensione.

La vera sorpresa delle ultime repliche dello spettacolo è l'interpretazione di Marco Martino che regala a Eugenio una sofferta umanità, una luce interna che proviene direttamente dall'anima dell'interprete, portandolo in scena
con una schiettezza che commuove e non si scorda.


Appena meno incisiva l'interpretazione di Ragazzo la cui sensibilità interiore e meno di superficie performata da Martino viene un po offuscata dalla verve di Eugenio interpretato da un De Rose fumantino e molto energico.

Martino si conferma interprete di grande spessore interiore, contribuendo a far esprimere pienamente un testo profondo e composito scritto con una felicità di scrittura che meriterebbe uno studio ben più approfondito di quello che possiamo permetterci in queste righe.

Nonostante la pioggia  lo spettacolo è stato visto da un pubblico nutrito portato in sala da un passaparola che ha funzionato e avrebbe sicuramente continuato a funzionare se le repliche si fossero estese anche a questa settimana.

Uno spettacolo cui auguriamo di tornare presto in scena, magari anche in trasferta.

 

Visto il 30-01-2014
al Agorà 80 Sala A di Roma (RM)