Occulti piani di dominio multimediale e progetti di tirannia informatica si sviluppano all’interno di uno studio tv, dove gli opričniki, qui trasformati in direttori televisivi, vogliono creare uno zar virtuale che possa assumere su di sé tutte le caratteristiche dei dittatori del passato e sia in grado, grazie al potere dei media, di dominare le masse. Il rapido scambio di messaggi in chat che avviene fra gli ideatori del progetto e che appare proiettato sulla scena, seppure dal retrogusto ironico, ben delinea i tratti di questo piano che implica, in aggiunta, la ricerca di una sposa in carne e ossa per questo zar, da effettuarsi tramite una operazione di casting.
Durante il preludio la scena, curata in ogni dettaglio, si presenta divisa in due, sulla sinistra una stanza piena di monitor e ricca di apparecchiature elettroniche sofisticatissime, sulla destra un set televisivo con telecamere, luci, fotografi, attori vestiti come all’epoca di Ivan il Terribile, ma tutto è finzione, come frutto di finzione e manipolazione saranno le vicende dei protagonisti. All’inizio del primo atto la scena ruota e, se sulla destra rimane in piena attività la stanza dei bottoni, sulla sinistra fa la sua apparizione una asettica sala riunioni, stretta e lunga, arredata in modo moderno e minimalista, dove si svolge il festino organizzato da Grigorij Grjaznoj. La casa del boiaro Sobakin, padre di Marfa, viene vista invece dal punto di vista della strada, attraverso l’apertura di un enorme finestrone che si spalanca su un salotto dalla tappezzeria di gusto vecchiotto, al centro del quale campeggia un televisore a schermo piatto che trasmette a ciclo ininterrotto telegiornali in cui fa la propria comparsa ogni poco l’immagine dello zar e quella delle candidate zarine. L’atmosfera è piccolo borghese con le amiche di Marfa che, per festeggiare il suo fidanzamento, fanno irruzione portando palloncini colorati che la ragazza fa volare in parte verso il soffitto. Ma l’ultimo atto della tragedia incombe e torna a svolgersi nell’ambiente del set televisivo iniziale, dove tutti attorniano una Marfa sofferente ed emaciata e dove i monitor televisivi posti nella stanza attigua continuano, in contrasto, a trasmettere le immagini di una zarina sorridente molto simile a tante first ladies contemporanee. Bravo in tutto Dmitri Tcherniakov, regista e scenografo, a partire dalla potente idea iniziale, che alla fine in nulla contrasta col libretto e che, soprattutto, mai cade nella banalità, fino a giungere alla cura meticolosa da lui prestata ai dettagli e ai movimenti dei protagonisti. In fondo la vera tragedia del nostro futuro sarà proprio quella che scaturirà da un incontro/scontro col virtuale.
Straordinaria la lettura musicale data da Daniel Barenboim: la bacchetta è precisa, attenta al dettaglio, ricca di lirismo e drammaticità. Indimenticabile la gravità pregna di pathos del preludio e la cristallina purezza dell’aria di Marfa dove i tempi leggermente dilatati hanno contribuito ad accrescere la tensione. Orchestra in stato di grazia.
Olga Peretyatko è una Marfa incantevole sotto tutti i punti di vista: la voce è fresca, l’emissione morbida, curatissima e ben calibrata, l’acuto terso e squillante; il suo essere fanciulla smarrita non le impedisce di bucare lo schermo televisivo in tutta la sua bellezza con disinvolto charme. Veste i panni di Ljubaša Marina Prudenskaya che interpreta la figura di una donna indurita dalla vita, tradita, disperata e assetata di vendetta, che non teme la morte finale; bello il colore scuro della voce e straordinaria la performance, a partire dalla melanconia espressa nella canzone del I atto, che la vede alternare toni vibranti di rabbia e momenti di cupa devastazione interiore. Johannes Martin Kränzle interpreta un credibilissimo e tormentato Grjaznoj vittima di un amore cocente e mal governato, straordinariamente intenso sul finale quando decide di spararsi alla vista del delirio che ha colpito Marfa, uccidendosi però per pudore nella stanza attigua e non sotto lo sguardo dell’amata e dei presenti. Pavel Černoch è un Lykov convincente ed impetuoso. Voce leggermente sfibrata, invece, per Anatoly Kotscherga che ha però interpretato un Sobakin ben più che onorevole. Con loro il Maljuta di Tobias Schabel, il Bomelij di Stephan Rügamer, la Domna Saburova di Anna Tomowa-Sintow, la Dunjaša di Anna Lapkovskaja, la Petrovna di Carola Hőhn. Impeccabile la prova del coro preparato come sempre in modo magistrale da Bruno Casoni.
Lo spettacolo è stato già recensito nelle repliche berlinesi dalla collaboratrice Ilaria Bellini
https://www.teatro.org/rubriche/spettacoli_estero/berlino_la_sposa_dello_zar_38972