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LA TRAGICA STORIA DEL DOTTOR FAUST

L'incubo di Marlowe diventa comico ma fa sempre paura

La tragica storia del dottor Faust
La tragica storia del dottor Faust © Giulia Lenzi

Provate a immaginare gli spettatori che nel 1590 hanno assistito alla prima rappresentazione di La tragica storia del dottor Faust, con il loro bagaglio di credenze, superstizioni e convinzioni morali. Provate a immaginarli nella scena finale, quando arrivano i diavoli e si portano via un dottor Faust terrorizzato, disperato e pentito. 

Se la scena fa effetto ancora oggi, provate a immaginare che impatto poteva avere avuto nella società di fine ‘500 il dramma scritto da Cristopher Marlowe: un effetto tale da incidere profondamente sulla letteratura dei secoli successivi. E l’eco allegorico deve essere ancora ben vivo e attuale, se gli autori e gli attori continuano a rapportarsi con questo testo.


Si è cimentato con La tragica storia del dottor Faust anche Giovanni Ortoleva, che ha curato il testo e la regia dell’opera prodotta dalla Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse.

Siamo uomini, o burattini?

Che non è un allestimento tradizionale del Faust si vede appena ci si siede in sala. Il sipario non c’è e si vede il palco. Sopra c’è un teatro dei burattini; davanti al teatrino c’è uno spazio risicatissimo, dove possono stare in piedi giusto due persone. Entrano gli attori. Francesca Mazza (Faust) ed Edoardo Sorgente (Wagner, Lucifero) sono persone in carne e ossa, ma sono stati burattinizzati: nei movimenti, nel gesto, nei drappeggi. 


Faust è sempre burattino: forse perché rappresenta un tipo umano, un carattere dominato dall’insoddisfazione perenne, dalla bulimia di tutto; un  personaggio tanto paradossale da sconfinare facilmente nella macchietta e quindi nel comico. 

Wagner rappresenta invece la solidità e la praticità del popolo, gente che lavora, e  si vede che fatica un po’ a stare dietro alle manie del suo padrone: fuori dal teatrino Wagner si muove più da essere umano; quando è vicino a Faust si adatta al ruolo e alle incombenze  riservate al servo di un matto visionario, e si burattinizza di più.

La trama si snoda. Faust e Wagner-Mefistofele a volte sono dei burattini e a volte no. Le movenze degli attori cambiano a seconda della loro posizione sul palco: dentro o fuori il teatrino, e cioè dentro o fuori la realtà. Ma qual è la realtà e qual è la finzione? A seconda di dove sono e cosa fanno cambia anche il tono della loro recitazione, passando da un registro aulico-seicentesco ad una forma colloquiale contemporanea, dalle tinte satiriche.

La tentazione del potere

Dentro il teatrino tutto è caricaturale, ostentato, paradossale. Il dottor Faust estende l’insoddisfazione per il suo sapere (sterminato ma inutile) agli argomenti, alle materie e alle scienze di oggi. Dopo avere demolito tutte le scienze, di ieri e di oggi, non gli rimane che la fascinazione per il soprannaturale, la magia nera: e come da copione diventa facile preda delle tentazioni del Demonio.

Le tematiche di fondo sono le solite: ambizione umana, mancanza di senso, caduta; tutto impastato con una buona dose di anticlericalismo contemporaneo e di critica sociale. Non a tutti sono piaciuti gli attacchi a Papa Francesco: sono sembrati piuttosto strumentali e alla fine inutili.


Il tono dello spettacolo cambia infinite volte, molto velocemente. Produce uno straniamento notevole che, però, non nuoce all'economia complessiva dell'opera: anzi, ne è confacente. Giovanni Ortoleva sa come far deflagrare la tragedia nella commedia e poi come riportarla al tragico.

C'è di che sorridere, di che ridere, di che riflettere e di che spaventarsi. Una carrellata di vizi, problemi, incongruenze, storture, ingiustizie del mondo contemporaneo, rivissuti in chiave ironica.

La regia è esuberante ed utilizza sapientemente sia le luci che gli effetti sonori, con alcuni prestiti piuttosto evidenti da una poetica horror (specie nell'ultima scena, con quel crescendo di rintocchi e le luci rosse). Lo spettacolo dura appena un'ora eppure riesce a trasmettere molto e ad aggiungere parecchio alla già ben stratificata tradizione di interpretazioni faustiane.

Hai voluto la bicicletta?

Francesca Mazza ha vinto due volte il premio UBU, e si vede. Edoardo Sorgente (attore napoletano emergente, ma già con una significativa esperienza) è stato perfetto nella parte del diavolo sornione, efficiente, pragmatico, disincantato ma anche inflessibile quando Faust deve pagare dazio dopo i previsti 24 anni. Il tono è quello del: hai voluto la bicicletta? Allora adesso pedala.

Sul palco si srotola un testo provocatorio, visionario e senza tempo: se ti comporti in certi modi va sempre a finire male, oggi come nel 1590.


"Giovanni Ortoleva rivisita la storia dell’uomo che vendette l’anima al diavolo per raccontare la storia di un grande inganno. – dicono le note di regia - L’inganno di cui è vittima un uomo, convinto di poter diventare padrone degli elementi, la cui vera colpa non è tanto aver venduto l’anima quanto non riuscire a pentirsi del suo tragico errore. Nell'epoca in cui viviamo, intrappolata in un sogno di onnipotenza da cui non riesce a recedere, la storia del dottor Faust assume un inedito valore politico”.

Se volete vederci riferimenti alla stretta attualità, tipo le varie conferenze mondiali sull’emergenza-clima, l’inquinamento, la tratta degli esseri umani, le migrazioni bibliche di massa, fate pure: non siete lontani dalla realtà.

Visto il 10-11-2021
al Della Tosse di Genova (GE)