Soldi, soldi e ancora soldi: il denaro compra tutto! Questo il leitmotiv della splendida edizione de La traviata, per la regia di Robert Carsen, che la Fondazione veneziana ripropone nuovamente quest'anno e che fu, nel 2004, lo spettacolo inaugurale dopo la ricostruzione del teatro. Un allestimento che pare non invecchiare e che offre sempre, attraverso una visione amara e disincantata degli eventi, nuovi spunti di riflessione allo spettatore.
Scene e costumi di Patrick Kinmonth riportano la vicenda agli anni Settanta del Novecento dove una società fatua e materialista si destreggia fra feste e divertimenti, mettendo da parte valori e sentimenti.
Il sipario si apre con una Violetta in negligé su di un letto la quale, durante l'ouverture, viene, per così dire, ricoperta di denaro da innumerevoli clienti, al centro di una lussuosa stanza in cui dominano le tonalità del verde scuro e alla quale si accede attraverso una grande porta; da tale varco entrano, all'inizio del primo atto, gli amici, recando tavolini e suppellettili per la festa. Tutto è curato nei minimi particolari: l'arredamento è di lusso e mescola sapientemente specchiere dorate e velluti con elementi moderni come la televisione o le tipiche appliques di vetro anni Settanta. Su tutto domina l'immagine di alcuni alberi dalle tonalità verdi e giallastre a capo del letto.
I convitati si muovono a meraviglia in questo ambiente, dispensando con dovizia abbracci e baci, rigorosamente dati sfiorando appena la guancia dell'altro e sfoggiando sorrisi artefatti; Alfredo, dal canto suo, è così invaghito di Violetta che seguita a fotografarla ad ogni suo spostamento, ella invece rimane intimamente prostituta, tanto da amoreggiare alla fine dell'atto col barone. Geniali l'ingresso di un pianoforte bianco suonando il quale Alfredo intona il brindisi e l'arrivo del dottore che somministra, attraverso un'iniezione nell'avambraccio, un farmaco a Violetta quand'ella accusa il primo malore.
Tanto è opulenta l'ambientazione iniziale, tanto semplice quella che ci si presenta al secondo levar di sipario, quasi a sottolineare un mutamento di vita: gli alberi che si vedevano prima a guisa di poster a capo del letto occupano ora tutta la scena che, per il resto, rimane vuota. A richiamarci alla realtà, ecco però una pioggia di soldi che cade incessante dal cielo: il vil denaro che viene persino profferto da Germont a Violetta durante il loro incontro.
Cambio di scena repentino grazie al fondale che si alza e ci si trova, più che a casa di Flora, in un night club dalle luci scure con tanto di teatrino con sipario argentato in cui si esibiscono strippers e cow-girls. Nulla è cambiato: fatuità e voglia di divertirsi sono rimaste immutate, così come il tema del denaro che, come da copione, Alfredo scaglierà in viso a Violetta.
L'apogeo di questa vacuità dello spirito appare però nel terzo atto, ove la scena di apertura viene ripresa, anche se con caratteristiche ben diverse: la stanza ora è stata spogliata del mobilio, se si eccettua la tv rovesciata a terra che trasmette il grigio segnale di fine trasmissione, la tappezzeria verde è strappata e vi sono lavori in corso. La protagonista muore fra l'indifferenza generale, per terra, in sottoveste, ma con i tacchi, quasi a sottolineare l'ultimo legame col passato. Alcuni giovani che partecipano al carnevale irrompono in un delirio di festa senza accorgersi del dramma che si sta consumando, il dottore viene in visita, pratica di nuovo un'iniezione, ma pretende di essere pagato da Annina, al momento del decesso arrivano persino gli operai per completare i lavori.
Qualche perplessità, a nostro modesto avviso, l'ha lasciata la direzione d'orchestra che non pare aver agevolato il lavoro dei cantanti. Sul podio il maestro Renato Palumbo che stacca tempi davvero molto serrati, imponendo un ritmo quasi bandistico all'esecuzione, sempre giocato fra forte e fortissimo.
Ottima sorpresa, al suo debutto nei panni di Violetta, la giovane palermitana Jessica Nuccio, vincitrice al concorso internazionale Marcello Giordani del primo premio, oltre che di quello della critica. La Nuccio mostra non solo di avere a disposizione uno strumento vocale dal bel colore e dalla straordinaria estensione, solido in acuto e corposo nel registro centrale, ma anche di saper ben dosare il fiato e di essere in grado di gestire alla perfezione le agilità.
Qualche leggera imprecisione in alcuni passaggi per l'Alfredo di Gianluca Terranova, che si mostra comunque un personaggio interpretato in maniera convincente sia dal punto di vista attoriale, sia da quello vocale, ove la buona qualità del mezzo non passa comunque inosservata.
Molto corretti e dalla buona intonazione l'algido Giorgio Germont di Claudio Sgura e la Flora di Daniela Innamorati. Con loro: Sabina Vianello, Annina; Iorio Zennaro, Gastone; Elia Fabbian, il barone Douphol; Luca Dall'Amico, il dottor Grenvil; Matteo Ferrara, il marchese d'Obigny.
Molto buona la prestazione del coro.
Teatro con qualche posto vuoto in platea. Alla fine della serata sono stati tributati grandi applausi a tutto il cast.