Lirica
LA TRAVIATA

Come in un film

Come in un film

Alice Rohrwacher, al suo debutto in campo teatrale, sceglie di dare una lettura particolare della sua Violetta, vedendola come un’attrice cinematografica affermata, nell’intimo della quale alberga però, ancora, l’anima della bambina che fu. Uno spunto senza dubbio interessante, se non fosse per il fatto che, nel corso della rappresentazione, l’interazione fra queste due figure non appare ben risolta, tanto che le singole parti della tragedia che la Valery si trova ad affrontare appaiono quasi slegate fra loro.
Il sipario di leva e si palesa agli occhi del pubblico una landa deserta color seppia, simbolo della solitudine in cui versa Violetta, ove è montato come set di ripresa l’interno di una camera rossa, di gusto kitsch, in cui la protagonista durante il preludio, al segnale del ciack dato da una comparsa, ripete più volte la stessa scena, mentre le macchine da presa la filmano. Si accendono poi le luci e fanno la loro comparsa i lavoranti del set con tanto di camice grigio scuro d’ordinanza. Ella è l’unica a vivere nel passato, ad indossare uno splendido abito ottocentesco (firmato Miu Miu), ad agire quasi in un universo parallelo.
I riferimenti al mondo del cinema si attenuano nel secondo atto, tanto che quello che avrebbe dovuto essere il leitmotiv dell’allestimento perde vigore e risulta un poco posticcio. Questa volta la landa deserta presenta una voragine sopra la quale è sospesa la corrispondente zolla di terra da cui pendono le radici di un albero, simbolo del passato della protagonista, un passato sì sradicato, ma ancora incombente. Unico riferimento virtuale al giardino risultano essere alcuni fiori piantati qua e là dai due amanti. Violetta ora indossa un semplice abito bianco, il fastoso vestito dorato dell’inizio giace da un lato; ella tornerà a portarlo solo dopo il colloquio col padre, nel contesto di una fin troppo ovvia allusione alla purezza ritrovata e poi nuovamente perduta.
Nel terzo atto, che si svolge in continuum rispetto al secondo, la zolla è ritornata al proprio posto, pur senza incastrarsi perfettamente nel terreno, e su di essa è posto un tavolo che funge da letto di morte. La protagonista torna ad essere vestita di bianco e, mentre dorme a terra, passano dei filmati di lei fanciulla che gioca in un prato, introducendo così il tema dell’infanzia, che sarà ancor più esplicitato sul finale, in cui Violetta muore abbracciata al proprio alter ego bambina. Torna anche un accenno al mondo del cinema durante il breve intermezzo del carnevale, quando fanno il loro ingresso una Flora in forma smagliante e alcuni paparazzi che fotografano la Valery nell’intimità della propria sofferenza senza ritegno e senza pudore.
In questo contesto tutti i coprotagonista risultano volutamente sbiaditi, in particolare la figura di Alfredo appare quella di un essere incerto, insicuro che si fa trascinare dagli eventi e non li domina.

Mihaela Marcu è una Violetta di straordinaria bellezza, abbastanza a suo agio sulla scena. Se nel primo atto ella paga forse un poco lo scotto della giovane età che in qualche passaggio la fa difettare di quell’espressività che deriva spesso dall’esperienza, negli altri due si destreggia decisamente meglio, palesando una voce dal colore piacevole, piuttosto solida in tutti i registri e ben proiettata; particolarmente pregevoli le mezzevoci cui ella sa conferire vibrante suggestione. Squillo sicuro e giovanile baldanza per Antonio Gandia che veste i panni di un Alfredo dalla psicologia volutamente elementare, in lotta costante fra i due fuochi rappresentati dalle personalità di Violetta e del padre; la voce è bella e promette bene per il futuro. Corretto e dal bel timbro scuro il Giorgio Germont di Marcello Rosiello che non brilla però particolarmente per espressività. Spavalda la Flora di Daniela Innamorati, donna di mondo che non si stacca, al contrario della protagonista, da quella vita fatta di successi che la caratterizza; la voce è piena e il personaggio nel complesso più che convincente. Adeguati tutti i comprimari: Alessandra Contaldo (Annina), Giuseppe Distefano (Gastone), Davide Fersini (il Barone Douphol), Matteo Mollica (il Marchese D’Obigny), Shi Zong (Il Dottor Grenvil), Alessandro Mundula (Giuseppe), Pietro De Fino (Domestico di Flora), Victor Andrini (Commissionario).
Buona la prova del Coro OperaLombardia che, soprattutto durante la festa a casa di Flora, ha dimostrato di possedere anche una buona capacità scenica.

Alla direzione dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali, Francesco Lanzillotta privilegia una lettura della partitura che focalizza l’attenzione sull’aspetto drammatico più che su quello lirico o intimistico, il quale viene messo un poco in ombra a favore anche di una sonorità rotonda e talvolta prorompente.

Visto il 10-12-2016
al Ponchielli di Cremona (CR)