Lirica
LA TRAVIATA

LA PRIMA VOLTA DI VIOLETTA SUL LAGO

LA PRIMA VOLTA DI VIOLETTA SUL LAGO

Dopo le tante Mimi, Tosca e Butterfly, Violetta Valery approda sulle rive del lago di Massaciuccoli, un omaggio al prossimo bicentenario verdiano che esprime l’intenzione del Festival Pucciniano di inserire nella propria programmazione anche altri compositori. Scelta opinabile ma forse sensata per un Festival rivolto a un pubblico eterogeneo orientato ai grandi titoli del repertorio e la notevole affluenza dimostrata in occasione della prima di Traviata ne è la prova.

Si tratta di un nuovo allestimento coprodotto con i teatri di Pisa, Livorno e Lucca che vede nel cast la partecipazioni di giovani cantanti perfezionatisi nell’ambito di un progetto di formazione promosso, oltre che dai teatri sopracitati, anche dal Maggio Fiorentino  per consentire a talenti emergenti di fare l’esperienza del palcoscenico.  
Tradizionale l’impostazione adottata dal regista  Paolo Trevisi che si limita a un’illustrazione della vicenda senza ricercare nuove chiavi di lettura, basandosi sul potere del canto e sulla forza dell’opera in sé per fare presa sullo spettatore. L’unica “trovata”, peraltro non compiutamente sviluppata, è vedere Alfredo che sulle note dell’ouverture si aggira sulla scena vuota sulle tracce di Violetta, flash back o prefigurazione futura?

L’impianto scenico ideato da Poppi Ranchetti prevede una quinta opalescente dai toni verdolini che abbozza una loggia sui cui si aprono sei porte incorniciate da tendaggi rosati. Spetta al variare delle luci di Valerio Alfieri, di volta in volta cremisi, gialle, turchesi, efficaci nel mettere in rilievo nervature e trasparenze della struttura, creare la giusta atmosfera e sottolineare la terza dimensione. La scena unica prevede poche variazioni: una staccionata oltre al loggiato per il ritiro di campagna, un divano pouf, un tavolo da gioco, un letto davanti a un paravento per evocare i diversi ambienti in cui si dipana il dramma. All’insegna della tradizione gli eleganti costumi della fondazione Cerratelli: crinoline rosa per Violetta e abiti da sera neri di gusto ottocentesco per il coro, tocchi di rosso per la festa da Flora, zingarelle con tamburelli e matadori variopinti come da tradizione. Una nuova coproduzione avrebbe meritato qualcosa di più.

Note positive per quanto concerne l’esecuzione musicale di un cast per una volta tutto italiano. Silvia Dalla Benetta ha voce decisamente leggera per Violetta, ma canta bene e si apprezza la dizione, il fraseggio curato, l’attenzione all’accento a fini espressivi; all’insegna della correttezza e prudenza il primo atto, in “sempre libera” vorremmo ben altri fuochi d’artificio, ma le colorature risultano nitide e precise; la cantante è interprete sensibile e convince nella rappresentazione della perdita e del sacrificio nel confronto con Germont e soprattutto in un terzo atto di autentica drammaticità  dolente dove nell’addio al passato dagli intensi pianissimi espressività  si coniuga a belcanto. Di Massimiliano Pisapia abbiamo spesso apprezzato doti timbriche e di dizione, ma rispetto alla spontanea comunicativa del suo Pinkerton guascone, ruolo affrontato con successo anche a Torre del Lago, il personaggio  di Alfredo, diciamo a sorpresa, non sembra essergli altrettanto congeniale e si percepisce una minore immedesimazione; la voce è  sempre bella, ma nel canto verdiano risultano più evidenti le disomogeneità nei passaggi e la voce stenta a trovare il giusto slancio. Stefano Antonucci non ha voce particolarmente estesa o possente, ma dimostra, oltre che musicalità e buon gusto interpretativo, grande attenzione alla scrittura verdiana di cui rispetta ogni indicazione e il suo Germont è decisamente ben cantato.
I ruoli minori sono stati interpretati da giovani cantanti non ancora “in carriera” e quindi difficilmente valutabili. Sandra Buongrazio è una Flora graziosa, Emanuela Grassi è Annina; apprezzabile il Marchese d’Obigny di Salvatore Grigoli, E. Hurtado Rampoldi è Gastone, mentre Italo Proferisce è Douphol. Completano il cast il Dottor Grenvil di Juan José Navarro ed il servo Giuseppe di Angelo Fiore.

La direzione di Fabrizio M. Carminati è l’aspetto più riuscito della serata per la cura dello strumentale (un plauso agli archi), la narrazione coerente e la scelta di tempi giusti nel rispetto delle esigenze del canto e dello sviluppo teatrale. Una direzione  capace di sfumare, alleggerire, chiaroscurare, sensibile all’indugio  senza però risultare statica.

Ottima affluenza di pubblico che ha tributato calorosi applausi alla protagonista e al direttore.

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