La traviata “dello specchio” è uno di quegli allestimenti entrati ormai a far parte della storia del teatro, così ricchi di fascino e buon gusto da risultare ancora smaglianti quasi trent’anni dalla loro ideazione.
La scenografia, pensata da Josef Svoboda nel 1992 proprio per il palcoscenico dello Sferisterio, consiste in una serie di teli dipinti appoggiati a terra che vengono via via sfilati da assistenti di scena e che si riflettono su un grande specchio inclinato così da creare l’effetto di un fondale.
Specchio, specchio delle mie brame…
Si parte con la visione di un enorme sipario rosso, subito sostituito da dipinti raffiguranti cortigiane discinte, ben caratterizzanti l’intero primo atto; il disegno di una casa di campagna, un immenso prato di margherite e immagini in bianco e nero di donne in crinoline fanno a loro volta da sfondo al ritiro in campagna della coppia; uno splendido lampadario di cristallo domina da ultimo il momento della festa a casa di Flora.
Tutto muta durante l’atto finale in cui il semplice assito nero del palcoscenico riflesso nello specchio funge da simbolo di povertà e morte imminente. Di innegabile efficacia scenica poi il momento della dipartita della protagonista in cui lo specchio si alza in verticale così da riflettere il meraviglioso colonnato semi illuminato dell’arena.
Sebbene complessivamente apprezzabili, i costumi pensati da Giancarlo Colis hanno talvolta la tendenza ad indulgere un po’ troppo ad un fasto ridondante, in linea purtroppo con alcune revisioni dei movimenti scenici operate per questa occasione dal regista Henning Brockhaus che non apportano particolari innovazioni e finiscono per appesantire un poco lo spettacolo.
Ottimi i versanti canoro e musicale
Tempi un po' dilatati, ma raffinata indagine filologica per la direzione di Paolo Bortolameolli che brilla per attenzione al dettaglio e per la costante ricerca di una forbitezza del suono che diviene la cifra distintiva di questa lettura.
Assolutamente convincente Claudia Pavone nel ruolo della protagonista: la voce è pulita, ben timbrata, con leggere sbavature solo nel registro sovracuto; ne fuoriesce una Violetta tenace e combattiva che lotta fino all’ultimo in difesa del proprio amore. Bene anche Marco Ciaponi nei panni di un Alfredo passionale dallo squillo facile e ben timbrato con un’ottima gestione dei fiati.
Sergio Vitale è un Germont fra l’autorevole e l’autoritario dalla grande presenza scenica e dotato di una voce solida in tutti i registri. Buona la Flora di Valeria Tornatore, petulante, invece, l’Annina di Estìbaliz Martyn. Con loro: Marco Puggioni (Gastone), Francesco Auriemma (Duphol), Stefano Marchisio (Marchese d’Obigny), Francesco Leone (Dottor Grenvill).
Adeguato il Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini”, preparato come sempre da Martino Faggiani.