La quarta replica di Traviata di Giuseppe Verdi andata in scena il 7 agosto nel corso del Festival operistico all’Arena di Verona, è stata caratterizzata da un anfiteatro praticamente esaurito e da un successo incondizionato da parte del pubblico.
Da alcune stagioni infatti non è infrequente che, oltre al debutto, anche nel corso delle repliche si alternino interpreti di livello internazionale come è accaduto in occasione di questa Traviata che ha visto schierate tre voci del calibro di Sonya Yoncheva, Vittorio Grigolo e George Petean.
Tre interpreti di caratura internazionale
Se un vecchio luogo comune sostiene che ci vorrebbe una cantante differente per ciascuno dei tre atti di quest’opera, Sonya Yoncheva è stata protagonista di una prova di altissimo livello. Se nel primo atto ha sfoggiato un timbro rigoglioso e grande disinvoltura nelle agilità, nel secondo è emerso maggiormente l’aspetto più lirico che è stato portato a compimento in un terzo atto di grande intensità. Discorso analogo per Vittorio Grigolo che ha delineato un Alfredo dal bel timbro squillante, esuberante nel carattere ma duttilissimo nell’emissione, alternando ad acuti svettanti raffinate mezzevoci. Ottima anche la prova di George Petean, che, dotato di timbro morbido e suadente è stato un Giorgio Germont di grande musicalità.
Da applausi anche la direzione di Francesco Ivan Ciampa, la migliore tra quelle ascoltate nel corso di questa stagione areniana. Il Maestro campano è riuscito a tenere perfettamente coeso l’insieme costituito da orchestra, palcoscenico e coro (sempre seduto sulla gradinata di sinistra), optando per una concertazione vivace e spigliata, mantenendo però sempre saldo il filo della narrazione e concedendosi più di una raffinatezza nell’esecuzione. Nel complesso valido il resto del cast all’interno del quale spiccavano la Flora di Clarissa Leonardi ed Il Gastone di Carlo Bosi.
Uno spettacolo che sconta l’assenza di una regia
Diverso il discorso per quanto riguarda l’aspetto visivo, che anche in questo titolo scontava l’assenza di una vera e propria regia. La scenografia era basata su una doppia scalinata centrale che fungeva da ingresso e uscita, mentre il vero compito di caratterizzare i singoli atti era affidato al fondale ledwall sul quale si alternavano le immagini Elaborate da D-WOK
La Parigi qui raffigurata era una Parigi sgargiante, dai colori accesi e dei tratti quasi fumettistici che strizzava l’occhio a quella ritratta nel film Moulin Rouge di Baz Luhrmann, e la cui coerenza storica si piegava al gusto dell'immagine: nonostante la vicenda sia ambientata a metà ottocento sul fondo faceva capolino la Tour Eiffel, edificata nell’89.
Anche la collaborazione con la Galleria degli Uffizi si limitava ad uno scorrere nel corso dei due preludi di celebri dipinti difficilmente contestualizzabili. Gli stessi dipinti si ritrovavano appesi nel terzo atto alle pareti della casa di Violetta morente, in netto contrasto con quanto in realtà accade, dato che appare improbabile che una donna che muore in povertà possa ancora sfoggiare una quadreria di tale valore.
Il lavoro sui cantanti si limitava a coordinare le entrate e le uscite, lasciando ognuno libero di agire in base alla propria esperienza, vanificando quindi ogni intento di approfondimento psicologico e di interazione tra i vari personaggi.
Il pubblico, soggiogato dall’aspetto musicale, ha dimostrato di apprezzare lo spettacolo tributando a tutti gli interpreti applausi tanto calorosi quanto meritati.