C'era una volta il Festival Internazionale dell'Operetta, che attraeva a Trieste una miriade di appassionati, molti provenienti da Austria e Germania. Una consuetudine durata oltre 40 anni, interrottasi purtroppo nel 2011.
E pure se la tradizione della “piccola lirica” è portata avanti nell'intera regione dall'Associazione Internazionale dell'Operetta – che, per dire, il prossimo agosto proporrà a San Giusto un Galà dell'operetta, un Galà del musical ed Il Cavallino Bianco – la mancanza della kermesse un tempo ospitata al Teatro Verdi si fa sentire, ahimè.
Dateci qualche consolazione...
C'è da dire comunque che, di tanto in tanto, qualche repêchage dal repertorio leggero la Fondazione triestina lo propone. In questo caso, un nuovo allestimento de La vedova allegra di Franz Lehár, la più amata fra le operette d'ogni tempo. Un autentico classico, ormai, talmente piacevole, talmente ricco di bella musica - non a caso sono andate in scena al Verdi ben 11 edizioni, dal 1971 al 2012 - da figurare spesso oramai anche nei cartelloni dei teatri d'opera. Peccato che stavolta la contingenza Covid abbia costretto a riempire solo a metà la bella sala triestina.
E visto che parliamo di musica, un grato applauso va a Christopher Franklin, conduttore agile, intelligente, pieno di verve e fantasia; ed all'Orchestra del Verdi, stasera un miracolo di leggerezza e di trasparenza. Messi insieme offrono una concertazione arguta, frizzante, spigliata, ricca di colori e di piacevoli contrasti, che trova il suo apice nella brillante esecuzione – inserita a riempire il cambio scena del Finale – dell'ouverture dell'operetta Ein Morgen, ein Mittag und ein Abend in Wiendi Franz von Suppé. Viennese d'adozione ma italiano d'origine, nato sulle sponde dell'Adriatico in quel di Spalato.
Uno spettacolo senza fuochi d'artificio
Non ho mai visto una Vedova allegra eguale all'altra: registi e direttori si divertono a scombinare le carte, spostando qualche numero e talvolta inserendoci qualcosa di alieno. Cosa che a volte funziona, altre no. Qui la regia di Oscar Cecchi procede con scioltezza e buon spirito, ma con poche scintille. Evita di scompaginare il libretto, qualche buona e nuova trovata però l'azzecca: ad esempio consegnando alle interpreti femminili una ripresa di «Donne, donne... eterni dei», facendole disquisire sul fatto che «E' scabroso i maschi studiar... ». E mostrando poi alla fine un Njegus incline a passioncelle trasgressive - mezzo in elegante frac, mezzo in gonnella e calze da grisette - intonare con sottile malizia «Stanotte faccio il parigin». Non piccolo difetto, però, resta quello di lasciare inoperoso il coro, senza dargli un effettivo ruolo scenico.
Funzionali allo scopo, ma alquanto insignificanti le scenografie di Paolo Vitale; costumi di routine, non firmati; ben costruite le coreografie di Serhiy Nayenko, ed eseguite dal dinamico corpo di ballo del Lviv National Academic Opera and Ballet Theatre. Ballerina solista, la brava Cler Bosco.
I protagonisti sul palcoscenico
Valentina Mastrangelo è una Hanna Glawari dalla vocalità adeguata e dal timbro accattivante, che sa anche essere simpatica e carina. Ciò non toglie che sia poco incisiva nella recitazione, tratteggiando una dama poco carismatica e per nulla seducente. Gianluca Terranova risulta tutto sommato un elegante Danilo; non sarà qui un fulmine di guerra, vocalmente, ma il mestiere c'è e la figura del bel viveur squattrinato emerge comunque. Giulia Della Peruta ci dona una Valencienne deliziosamente coquette, ben affiancata dal poetico Rossillon di Oreste Cosimo; quanto alla simpatica sagoma di Njegus, trova piena realizzazione nello spiritoso Andrea Binetti.
Tutte le parti di contorno dimostrano affiatamento e vivida teatralità: Clemente Antonio Daliotti impersona a dovere l'imbecille Barone Mirko Zeta, mentre Andrea Schifaudo e Filippo Fontana sono gli azzimati Saint-Brioche e Cascada. Ci sono poi le coppie coniugate, e naturalmente mal assortite. Sono ree da Gianluca Sorrentino (Bogdanović) e Federica Giansanti (Sylviane), Alessandro Busi (il bolso Kromow) e Paola Francesca Natale (Olga), Luca Gallo (Pritschitsch) e Marzia Postogna (una Praškowia dai tratti sadomaso). Maestro del Coro è Francesca Tosi.