"E voi, signori, qualcuno di voi ha per caso visto in giro un naso?"
Rino Picpus
Un uomo disperato, un improbabile commissario, un solerte funzionario dell'Ufficio oggetti smarriti. E ancora: una verbosa portinaia, un conferenziere, un chirurgo, un disincantato Cyrano de Bergerac. Cosa unisce tutti questi personaggi nella loro fugace apparizione – qualche minuto o poco più - sul palcoscenico?
Certo, per tutti, c'è un sottile filo rosso, un filo tanto esile, quanto giudiziosamente teso: la storia di un uomo che si alza dal letto una mattina e si ritrova inspiegabilmente privo del naso. Ecco allora che tutti i personaggi hanno da dire qualcosa sulla vicenda, chi perché coinvolto dal lavoro di poliziotto, chi perché sa di essere un'inguaribile impicciona, e via dicendo: tutti hanno una precisa testimonianza da riportare per ricostruire un frammento di questo inverosimile mistero.
Ma non è solo l'urgenza di raccontare a dar loro vita; lo fa, molto di più, la mano sapiente e trasformista di Enrico Bonavera, col suo baule di travestimenti (direbbe lui "feticci, che sappiano raccontare la storia al posto mio, poiché io non la ricordo, anche se a me è accaduta"): parrucche, cappotti e soprattutto nasi posticci con cui in pochi secondi l'attore si tramuta e dà vita a una nuova voce, un altro pensiero, una diversa prospettiva di storia. Così, sulla tragica epopea di Rino Picpus (personaggio di gogoliana memoria, a partire da uno dei più riusciti Racconti di Pietroburgo) si modulano, sovrappongono, mescolano voci differenti che, come in una sinfonia ben riuscita, creano suggestioni e impressioni stranianti nello spettatore; anzi, gli aprono la strada a un pensiero cui non immaginava di potersi trovare dinanzi, prima di entrare in platea.
C'è qualcosa di surreale e inquietante nella vicenda di Rino Picpus. Deprivato del naso, cioè di qualcosa che, appartenendogli da sempre, gli permetteva di conoscere l'odore delle cose (le lettere "profumate di violetta" della signorina Ester) un odore vero, persistente e irriproducibile, al di là di tutte le false apparenze dell'esistenza. E così, sopra la montagna di chiacchiere che lo avvolge (gli inutili pareri del commissario, della portinaia, del chirurgo) il protagonista vaga in città, ritrovando dopo poco quel suo naso fuggitivo, ormai all'inseguimento di una sua libertà, una sua autonoma prospettiva di vita.
Nessuno stupore, d'altronde, che un naso cammini indisturbato per la città; anzi proprio nella civiltà moderna, che crede di aver trovato una spiegazione scientifica a tutto, le spiegazioni inverosimili sono più che normalmente accettate.
Ecco così che il naso attrae crocchi di belle fanciulle, va in vacanza alle Mauritius, scrive cartoline; nella sapiente trasposizione di Bonavera il naso addirittura diventa capo del governo e noi – ci chiede con malizia l'attore – saremmo capaci finalmente di ribellarci, di andare a manifestare tutto il nostro sdegno per quell'assurdità?
E' solo il riconsegnarsi spontaneo del naso al suo padrone che mette fine a tutta quest'assurdità, non altro. E alla fine di tutto, Cos'è dunque l'Affaire Picpus per gli spettatori? Una godibile prova d'attore, un divertente pâstiche letterario, un virtuosismo sui temi della fatalità e dell'assurdo; forse qualcosa di questo, o tutto o ancora il suo contrario. Perché è proprio nell'impossibilità di dire, definire, decidere la natura di questo spettacolo la sua inimitabile bellezza. Tutto l'Affaire Picpus – e l'ineguagliabile Bonavera dietro di lui – è imprendibile proprio come quel naso in fuga per la città, al cui inseguimento andiamo ogni giorno un po' tutti, perché in fondo è la scia della vita a guidarci, l'odore della cose, la speranza di poter perdere sì il naso, ma non il fiuto per il profumo imprevedibile del destino.