"Il calapranzi", cui è liberamente ispirato "L'Attesa" , deve il suo spunto al processo di Norimberga, laddove la linea di difesa degli imputati si imperniò sul principio degli ordini venuti dall'alto. Ne "L'attesa" le direttive sono impartite da un calapranzi che, nel suo movimento di ascesa e discesa da un piano all'altro, trasmette messaggi in codice a due sicari che aspettano istruzioni in un appartamento angusto e squallido. Il tempo si dilata nello spazio claustrofobico e i discorsi dei due sono intrisi di ira, pur trattando argomenti insulsi quali notiziole di cronaca. La tensione è estrema e rivela un tentativo di comunicazione di Gus (Claudio Vescovo), preso da rimorsi e ricordi letali per un killer, e una crescente insofferenza di Ben (Luca Bertolotti) nei confronti delle domande del collega. Luca Bertolotti riesce a graduare in modo splendido, mantenendo sempre un registro esagitato, l'ira e la violenza che permeano ogni sua parola, in un contesto di dialogo insulso laddove il tono significa molto più del senso letterale del discorso. La scelta registica di Gianluca Ghnò sta nel ritmo forsennato e nella forzatura di ogni espressione e il lavoro dei protagonisti consiste proprio nel mantenere variazioni di tono e credibilità, nella stretta possibilità che la violenza costante degli atteggiamenti consente. L'espressività e la gestualità sono sempre sul punto di esplodere, senza un attimo di tregua, e inchiodano lo spettatore in un non-senso tragico laddove tutto può improvvisamente accadere. Ben vive, con una consapevolezza che Gus intuisce sinistramente, ma non comprende se non alla fine, la scelta interiore di aderire agli ordini ("sei qui per fare un lavoro: fallo!") e uccidere il suo collega di sempre, cancellando ogni traccia di umano sentire. L'inquietudine è sottolineata da un andamento cinematografico. L'azione si interrompe ogni volta che la tensione raggiunge una vetta insormontabile e i protagonisti si immobilizzano, guardandosi in modo fisso e minaccioso, come per fotografare la minaccia nel suo istante più dialettico. La sottolineatura sonora, con un suono ripetuto e inquietante, accentua la potenzialità drammatica. La scenografia riproduce una camera spoglia con due brande essenziali e il calapranzi, che si illumina e diventa co-protagonista muto e foriero di messaggi apparentemente incomprensibili ma tangibilmente significativi.
Ottima interpretazione e notevole lettura in chiave psicologico-nevrotica della pièce di Pinter, non facile e di grande spessore.
Visto il
12-10-2013
al
S. Francesco
di Alessandria
(AL)