“Le allegre comari” non è un’ospite frequente sui palchi teatrali. E questo non stupisce più di tanto. Checché se ne dica, non è tra le migliori opere del Bardo. Scritta su commissione della regina Elisabetta, in fretta e furia in sole due settimane, è – diciamolo – una commedia cittadina abbastanza dozzinale. D’altronde, a volte, anche il prete all’altare sbaglia.
Tuttavia, nonostante sia priva di passioni, tipiche delle opere shakespeariane, gode di un grande pregio: è l’unico componimento che l'insuperabile inglese ha dedicato ai suoi contemporanei appartenenti all’ordinaria borghesia inglese. Per questo la sua trama calza quasi a pennello anche alla vita di oggi. La pacifica convivenza dell’ ipocrisia e del falso perbenismo, ahimè, non è prerogativa di Windsor dove si svolge la trama della ben conosciuta farsa: nel piccolo paese di provincia arriva Sir John Falstaff, un vecchio avventuriero che cerca di abbindolare contemporaneamente due ladies per avvicinarsi ai portafogli dei loro rispettabili mariti. Tuttavia le due gentlewomen, sgualcendo con indignazione l’una davanti all’altra le lettere che il lestofante aveva scritto loro con la cartacarbone, decidono di impartirgli una lezione. Gli danno degli appuntamenti galanti dai quali egli è costretto a fuggire a rotta di collo.
Certo, “Le allegre comari” non è “Amleto” e lavorarci su rappresenta, probabilmente, 98 percento di “lavoro nero” e solo 2 di pura soddisfazione artistica. Forse anche per questo i registi Valeria Cavalli e Claudio Intrepido all’idea di attualizzare o di modernizzare la pièce hanno preferito semplicemente divertirsi, creando uno show allegro e discolo, al di là del periodo storico, una via di mezzo tra un musical e una commedia dell’arte. Gli abitanti del villaggio - rappresentato da un ingegnoso sistema di impalcature, ponteggi, scivoli, pedane e passerelle (scenografia di Claudio Intrepido) - in vestiti e parrucche molto pittoreschi e stilizzati cantano, pregano, spettegolano e saltano nel cesto della biancheria sporca. Tutto questo variopinto baccanale, senza dubbio, diverte. Tuttavia, un occhio attento non può non accorgersi che, dandosi alle allegre sforbiciate, i creatori dello spettacolo, forse involontariamente, hanno tagliato via anche il “bambino”.
Perché amiamo tanto le commedie di Shakespeare? Sicuramente non solo perché la stupidità altrui ci fa ridere e ci permette di sentirci più svegli e intelligenti. E nemmeno solamente per le trame stesse, spesso scontate ed illogiche. Le commedie di Shakespeare ci piacciono perché, nonostante tutto, sempre e immancabilmente vi trionfa l’amore. E dove c'è l'amore c'è la speranza.
Nello spettacolo di “Quelli di Grock” il posto per l’amore non c’è n’è. Per nulla. In queste “Allegre comari” nessuno flirta con nessuno, non corteggia nessuno, nessuno ama nessuno. L’unica cosa che tutti vogliono è impartire una lezione al prossimo. Persino la festa nel bosco di Windsor che, secondo Shakespeare, doveva concludersi con l’inaspettato matrimonio tra Anna Page e Fenton, qui non si presenta possibile. Il motivo è semplice: il giovane bighellone, moroso di Anna, in questa messinscena non c’è. Non è proprio previsto.
Per cui, mentre nella scena finale le maschere si lanciano in una danza baccanale intorno all’ inebetito Sir Falstaff, improvvisamente sorge il pensiero: è adesso, cosa succede? Ai cittadini di Windsor è servita a qualcosa tutta questa confusione? Qual è, insomma, la morale finale di tutto ciò? A quanto pare, nessuna. Punito e cacciato via Sir Falstaff, i rispettabili abitanti del villaggio, probabilmente, torneranno alle loro attività quotidiane e, come prima, riprenderanno a pregare e a vigilare sulla moralità degli altri.
E Anna, che per tutto il tempo troviamo completamente estranea al “banchetto della vita” orchestrato da sua madre e dalla comare di essa? Beh, respinti i due unici papabili pretendenti e senza un boy friend, il futuro della ragazza è ben delineato: rimanere una vecchia zitella come miss Quickly oppure chiudersi in un monastero. Scegliete voi, cosa vi aggrada di più.