La Scala alterna, prima della pausa estiva, le recite di Le Comte Ory con quelle di Così fan tutte, proponendo due interessanti allestimenti di respiro europeo, il secondo dei quali è parte della trilogia di Claus Guth andata in scena a Salisburgo e dunque in locandina presentato come “nuova produzione basata sullo spettacolo del Festival di Salisburgo”.
La bellissima scena di Christian Schmidt è l'interno di una villa con salone a piano terra e, sulla destra, una scala conduce alla balconata che consente l'accesso alle camere, su due piani. I costumi di Anna Sofie Tuma confermano l'ambientazione contemporanea nell'alta borghesia. Claus Guth aveva concepito l'intera trilogia come un'indagine nella psiche e dunque Così fan tutte viene vista come il progressivo irrompere dell'irrazionale nella vita quotidiana e amorosa.
All'apertura del sipario una festa si tiene a casa di Fiordiligi e Dorabella con i rispettivi fidanzati e numerosi ospiti quando, durante un ballo, Don Alfonso schiocca le dita e tutti si bloccano consentendogli di insinuare nella mentre di Ferrando e Guglielmo il dubbio da cui principia il libretto. Don Alfonso mantiene sempre il controllo delle menti dei quattro protagonisti che spesso si immobilizzano o si muovono in modo indipendente dalla propria volontà come burattini mossi da fili invisibili. L'idea registica è ben evidente anche scenicamente: la parete di fondo progressivamente si alza svelando un fitto bosco di abeti che diventa parte integrante del palcoscenico, mentre i due ragazzi, a piedi nudi, hanno gli abiti bianchi sempre più sporchi di fango. Nel finale c'è l'idea della ricomposizione: il bosco nel fondo scompare ma restano due grandi alberi al centro del salone; i ragazzi vestono di nuovo gli abiti scuri della festa ma sono ancora evidenti le tracce di fango anche alle pareti (quel “sì” affermativo di Fiordiligi sarebbe da fare con l'accento..). Il ritorno all'ordine iniziale è impossibile e la musica finisce su una scena di desolata disperazione. L'allestimento, bene illuminato da Marco Filibeck, è parso depurato da alcuni elementi che avevano caratterizzato le recite salisburghesi (come le figure dalle ali nere presenti anche nelle Nozze di Figaro) ed eccedere troppo nel bere, trasformando i protagonisti in ubriachi più che in preda all'irrazionale e al disincanto. Ma Claus Guth è un regista attentissimo ai movimenti e ai gesti e ogni scena cattura l'interesse dello spettatore, lasciando pensare e riflettere su ragione e sentimento e sulla disillusione dell'amore.
La direzione, curata da Daniel Barenboim ma affidata nelle recite di luglio a Karl-Heinz Steffens, ha tempi assai larghi accompagnati a un suono volutamente privato di leggerezza e morbidezza, eccedendo anzi in asprezza soprattutto nelle sezioni degli archi e che, anziché seguire le intenzioni registiche di maggiore cupezza, lascia un senso di noia e, in un paio di passaggi, perde l'appiombo. La scelta forse è quella di calcare la mano sulla tensione drammatica a scapito della giocosità e della trasparenza settecentesca. Al cembalo ha accompagnato i recitativi James Vaughan.
Nella recita a cui abbiamo assistito il cast previsto ha subito cambiamenti e ridimensionamenti. Nonostante l'annunciata indisposizione, Maria Bengtsson ha convinto, soprattutto nella seconda parte: abbiamo apprezzato la sua Fiordiligi per le mezzevoci curatissime (degno di nota “Per pietà, ben mio, perdona”). Paola Gardina ha sostituito Katija Dragojevic vincendo la sfida di partecipare con grande padronanza vocale e attoriale a un allestimento di regia complessa e, soprattutto, salendo pericolosamente sul parapetto del secondo piano. Serena Malfi è una Despina brillante nel suo abito con la gonna a ruota ma meno in evidenza vocalmente. Adam Plachetka è bravissimo e il suo Guglielmo, oltre che fisicamente altissimo, affascina per la voce calda e morbida, la pronuncia curata e i fiati controllati in ogni registro. Annunciata indisposizione anche per Peter Sonn: il tenore resta sorvegliatissimo per tutta la recita ma il risultato è di buon livello e il suo Ferrando convince il pubblico. Nicola Ulivieri sostituisce all'ultimo minuto Michele Pertusi: un Don Alfonso è distaccato e freddo, vocalmente impeccabile. Coro invisibile ma ben preparato da Bruno Casoni.