Dopo Così fan tutte e Don Giovanni delle ultime due edizioni, ecco approdare infine alle Settimane Musicali del Teatro Olimpico Le nozze di Figaro. I festival – certi festival, almeno – costituiscono un buon pretesto per compiere qualche esperimento: a volte più arrischiato, altre meno. Come quello di accostare nel terzo atto delle Nozze mozartiane, sistemandole una subito di seguito all'altra, le fredde riflessioni del volubile e geloso Conte Cosa sento!... Vedrò mentr'io sospiro e quella d'una Contessa sospirante d'affetto E Susanna non vien!... Dove sono i bei momenti, con il risultato di porre in immediato raffronto i loro due opposti caratteri. Idea non peregrina peraltro, per certi studiosi mozartiani, e comunque sostenuta con ferma convinzione da Giovanni Battista Rigon e Lorenzo Regazzo, rispettivamente concertatore e regista di questo delizioso spettacolo ambientato tra gli antichi stucchi dello storico edificio palladiano.
Intervenire così in un'opera dai mirabili equilibri interni – anzi, in una tra le opere più assolutamente “perfette” d'ogni tempo - parrebbe voler troppo osare; ma il risultato dell'operazione, drammaturgicamente parlando, credo si possa dire senz'altro fruttuoso. E quest'occasione è stata buona pure per mantenere al quarto atto, dopo l'arietta di Barbarina, due pagine sovente cassate dal vivo (anche in teatri famosi, e da famose bacchette) nell'intento di non 'raffreddare' il finale: vale a dire la graziosa pastorale di Marcellina Il capro e la capretta, e la successiva tirata moralistica di Don Basilio In quegl'anni, in cui val poco; l quale, per altro, è l'unico assolo per tenore dell'intera partitura, ideato da Mozart per il primo interprete del ruolo l'irlandese Michael Kelly.
Al di là degli intenti filologici – una costante, questa, delle Settimane Musicali – quel che più conta è l'impeccabile analisi musicale di Giovanni Battista Rigon, concertatore estremamente flessibile ed elegante: una rilettura che sa mostrarsi incantevolmente trasparente, variegata negli accenti e nelle scelte coloristiche e, sopra tutto, vibrante di sentimenti e piena di vitalità. Interpretazione che possiede poi la bella capacità d'ottenere dall'Orchestra di Padova e del Veneto un autentico respiro mozartiano, e da un cast di giovani interpreti invidiabile scioltezza ed un pertinente approccio allo stile vocale tardosettecentesco. E con questo riuscitissimo episodio, il direttore vicentino conclude in maniera esaltante – dopo Così fan tutte, dopo Don Giovanni – la sua personale rilettura del mirabile trittico dapontiano.
Compito di Lorenzo Regazzo, invece, quello di mettere in piedi uno spettacolo appassionante, pur agendo nello spazio ristrettissimo dell'Olimpico; spazio che non permette, come ben si sa, né diversioni sceniche né sortilegi tecnologici. Anche quello che ci propone in scena il cantante-regista veneziano è un limitato, concluso universo di tipi umani, ristretto tra le mura del castello comitale d'Almaviva, nel quale tutti concupiscono e tutti sono concupiti, travolti da attrazioni amorose – passioni non sempre, non tutte soddisfatte - che non risparmiano nessuno. Persino il povero Figaro si trova a doversi difendere – magari nascondendo un'arma sotto il cuscino - dalle avances di un padrone annoiato ed alla ricerca di inedite avventure erotiche. La gestione registica, però, viene mantenuta da Regazzo – dopo aver lavorato a lungo e intensamente con gli interpreti - sul filo di un'accorta leggerezza, cospargendo qua e là divertenti invenzioni: prendi quelle di disegnare Cherubino come un teen-ager dai tratti indiscutibilmente androgini, vorace raccoglitore di trofei erotici (di mutandine e reggiseni è pieno il suo zainetto), oppure di mostrarci un Don Bartolo un po' rimbambito dalla TV, in balìa d'una matronale badante – una Marcellina vistosamente abbigliata, fanatica dei selfie – e costretto a portare lui le borse della spesa. Uno spettacolo insomma sempre divertente, punteggiato com'è da simpatiche gag - vedi quella di Don Curzio nei panni di un imbranato scolaretto agli esami, con la patta aperta - e da deliziose noterelle registiche quali, ad esempio, nel fandango in chiusura del terzo atto ben risolto con astratte movenze spagnoleggianti del coro, composto da uno stuolo di cameriere e servitori di casa.
Compagnia di canto – come da tradizione nella rassegna vicentina, giunta ormai alla sua XXV edizione – quasi tutta verde negli anni; alla quale dobbiamo perdonare pertanto, e volentieri, qualche occasionale peccatuccio d'ingenuità. Daniele Caputo coglie benissimo il suo personaggio, così come glielo imposta la regia, e lo intona con buona proprietà mettendo a frutto un timbro baritonale chiaro e lucente; Marco Bussi – già Guglielmo nel Così fan tutte del 2014 – conferisce buona pienezza vocale e attinenza psicologica ad un arrogante e nevrotico Conte d'Almaviva, accentando con muscolosa espressività la naturale brunitura della voce; Antonio de Gobbi è un impareggiabile Bartolo; Filippo Pina Castiglioni mette in scena un travolgente Basilio; Claudio Zancopé è un miope e spassoso giardiniere; Elvis Fanton consegna un Don Curzio simpaticissimo nel suo balbettìo e nelle sue braghette corte.
Le cose migliori ci giungono tuttavia – a ben guardare - dal versante femminile: con la garbata Susanna di Carolina Lippo, personaggio piccante al punto giusto, voce assai promettente, espressiva nell'accento e nel fraseggio; con la voce sopranile di Patrizia Biccirè, che ha sostituito quasi all'ultimo l'infortunata (all'estero) Silvia Dalla Benetta, e ci dona qui una Contessa di morbida e luminosa bellezza timbrica, tenuta saldamente entro un raffinato percorso vocale; con lo spontaneo ed espansivo – ancorché, vocalmente, da mettere un po' meglio a fuoco - Cherubino del mezzosoprano Margherita Rotondi; e per finire con l'esuberante e bravissima Giovanna Donadini, sempre pronta a mettere in gioco la sua schietta verve, la corretta aderenza stilistica, e l'istintiva immedesimazione nei suoi anti ruoli semicomici: qui, vestendo i panni di Marcellina. Unico anello debole della catena, l'esile Barbarina di Francesca Cholevas, peraltro al suo debutto in scena con questo piccolo ruolo. Lodevole la prestazione del Coro I Polifonici Vicentini diretti da Pierluigi Comparin; maestro al cembalo, Stefano Gibellato.
I complementi scenici di questo spettacolo – opportuni tocchi d'arredo e d'ambiente, utili ad individuare i singoli contesti - sono di Carla Conti Guglia; i bei costumi, dal taglio attuale, di Riccardo Longo; l'accorto gioco di luci porta la firma di Claudio Cervelli; le piacevoli coreografie, quella di Elisabetta Mascitelli.
(foto di Luigi de Frenza)