Il teatro delle Muse di Ancona chiude la trilogia mozartiana affidata a Pier Luigi Pizzi che ha realizzato tre eleganti spettacoli, completamente diversi anche dal punto di vista scenotecnico. Dopo il sensuale Don Giovanni e il movimentato Così fan tutte, ecco ora le Nozze crepuscolari: non una giornata ma un tardo pomeriggio, un lungo crepuscolo (anche interiore) che inonda e riempie di luce calda la scena, tanto che persino l'atto notturno ha riverberi giallastri e nel finale risplende di arancio. In queste Nozze si sorride, senza ridere apertamente; ci si turba, ma mai è vero dolore: ogni cosa è crepuscolare, attutita, ammorbidita.
La scena di Pizzi ha alte pareti di legno chiaro e soffice moquette in tinta. Nel primo atto la camera è invero un guardaroba dominato al centro da un grande tavolo quadrato dove si stira e si fanno lavori di sartoria, ci sono finestre a sinistra e un armadio a muro in fondo; Figaro arriva con un materasso e cerca di adattare la stanza a camera da letto. Nel secondo atto la stanza da letto della contessa è dominata da un vertiginoso baldacchino di stoffa rosso scuro. Nel terzo atto il salone da pranzo ha un tavolo centrale con sedie e due servantes contro le pareti laterali divenute di specchio, mentre sul fondo è aperta una finestra sul giardino da cui si vede un albero. Stesso albero che nel quarto atto è al centro della scena, caratterizzata dall'apertura del fondale.
I costumi di Pizzi, elegantissimi, sono rigorosamente settecenteschi e curatissimi nei dettagli delle cuffie e delle scarpe.
La regia è rispettosissima del libretto: c'è tutto quanto serve e al momento in cui viene nominato (nonostante ciò i sopratitoli avrebbero maggiormente aiutato il pubblico): dal metro al battipanni che diventa il chitarrino, dai nastri alle lettere. Il finale si accende di una luce arancio che accende la scena come una piazza dechirichiana, dove il Conte resta da solo a guardare tutti gli altri che se ne vanno via saltellando.
Fondamentali, per la riuscita dello spettacolo, le precise luci di Vincenzo Raponi, capaci nei primi due atti di rendere il lungo crepuscolo di cui si diceva, nel terzo di lasciarlo lentamente scivolare nella sera e nel quarto di mantenerne un ricordo che via via torna più evidente, fino alla gioiosa luce finale. I movimenti coreografici sono stati curati da Roberto Maria Pizzuto che bene inserisce i cantanti nel grande spazio vuoto creato da Pizzi.
Carmela Remigio è una Contessa di straordinaria bravura, che sale all'acuto e scende nel grave con voce piena e salda; ottima nella struggente aria “Dove sono i bei momenti”, capace di commuovere il pubblico; meno ha convinto il dipingerla come una donna alcolizzata: vorremmo credere che Rosina sia forte e padrona dei suoi sentimenti e del suo destino, pienamente consapevole della sua costanza in amore come “faro” per il marito bugiardo (ma, in fondo, ancora innamorato). Meno in evidenza il Conte di Alessandro Luongo, che ha poca allure per il ruolo e che Pizzi vuole abbastanza simile a Figaro nell'abbigliamento, nella parrucca e nella scenicità. Riccardo Novaro è un Figaro dalla bella voce, pienamente di basso, furbo ed elegante in scena: nell'attesa “Non più andrai farfallone amoroso” egli fa la barba a Cherubino (in fondo Figaro è un barbiere e non va dimenticato). Adriana Kucerovà è una Susanna bellissima, perfetta per il ruolo, simpatica e vitale; la voce non è grande ma il soprano la sa ben usare sfruttando un registro acuto molto solido e la capacità di colorare la frase musicale in modo assai espressivo. Molto brava vocalmente e scenicamente disinvolta Elena Belfiore nel ruolo del paggio Cherubino. La Marcellina di Giacinta Nicotra è bella e simpatica nonostante lo sforzo della cantante di renderla brutta e antipatica; non limpide le agilità de “Il capro e la capretta”. Luca Dall'Amico ha voce scura e sonora e interpreta un Don Bartolo che ha il fascino di Don Giovanni, tanto che amoreggia con le due contadine. Luca Canonici interpreta il doppio ruolo di Don Basilio (in cappottone viola, pienamente Pizzi) e del balbuziente Don Curzio (in nero) con qualche limite, soprattutto in alto e non solo ne “In quegli anni in cui val poco”. Giusta la Barbarina di Maria Abbate, la cui voce squillante di bel colore riempie la scena. William Corrò è un giovanissimo e piacente Antonio. Molto brave le due donne, Yuliya Poleshchuk e Tatia Jibladze, allieve dell'Accademia d'arte lirica di Osimo.
Guillaume Tourniaire dirige la Filarmonica marchigiana con tempi serrati nella sinfonia e poi allargando a seconda delle esigenze dei cantanti. La buca delle Muse evidentemente non facilita la restituzione del suono in un'orchestra a ranghi ridotti, per cui la musica non è brillante e mai abbastanza leggera e spumeggiante come deve essere per la folle giornata. Molte cose si perdono, come i pizzicati; invece funziona l'accompagnamento in alcuni recitativi del fortepiano insieme al violoncello.
Il coro lirico marchigiano, preparato da Simone Baiocchi, resta invisibile dietro le quinte e poco udibile da fondo platea.
Teatro esaurito, pubblico divertito, moltissimi applausi sia durante la lunga recita che nel finale.
Il prossimo appuntamento in cartellone è con il recital di Paolo Fanale (18 febbraio), emozionante interprete di Ferrando nel Così fan tutte della precedente stagione.