Lirica
L'ELISIR D'AMORE

Nemorino a metà

Nemorino a metà

Prove di circuito lirico marchigiano: il teatro delle Muse di Ancona e il teatro della Fortuna di Fano insieme per una stagione che contiene i costi e mantiene alti i livelli di qualità producendo un nuovo allestimento di Rigoletto (in scena questo febbraio per una recita in ciascuna città) e, rispettivamente, Elisir ad Ancona e Carmen a Fano.
Lo spettacolo che ci occupa proviene dai teatri del circuito lirico lombardo (Brescia, Como, Cremona, Pavia) che riesce ogni anno a mettere in cantiere quattro nuove produzioni, una per ogni teatro di tradizione, che poi passano di città in città. Ma Ancona e Fano non sono teatri di tradizione (nelle Marche solo Jesi, Macerata e Pesaro) e dunque il bilancio ne risente.

L'impianto scenico di Carlo Fiorini lascia vuoto lo spazio del palco per utilizzare proiezioni, principalmente in bianco e nero, che situano l'azione negli anni Cinquanta fra le risaie. Gli sfondi sono paludi con canneti e acqua increspata dal vento, lunghi viali con doppia fila di alberi, querce solitarie nella pianura ma anche vetri colpiti dalla pioggia a ricordare che al centro dell'opera ci sono quelle lacrime (furtive e non) che rimandano a una sofferenza d'amore. In linea con l'epoca la mercanzia di Dulcamara viene pubblicizzata con gli spezzoni di Carosello. Per movimentare l'azione si utilizzano biciclette e moto con sidecar ma soprattutto la Diane 2 cavalli di Dulcamara, intorno alla quale avviene la maggior parte delle scene. Ma non trattasi di allestimento neorealistico: la teatralità è garantita dal pavimento lucido a specchio nero.
Adeguati i costumi di Carla Ricotti, palesi soprattutto nelle donne: mondine dai cappelli di paglia a tesa larga e le calze nere che lasciano scoperto qualche centimetro di cosce come in film del neorealismo per poi riservare ad Adina e Giannetta le stoffe un poco più preziose ma restando su linee semplici ed essenziali.

Arnaud Bernard, insieme all'assistente e coregista Stefano Trespidi, legge la storia in modo chiaro e comprensibile senza alcun mutamento nel plot e nelle dinamiche tra i personaggi ma anche senza particolari approfondimenti nel retroterra sociale e nei caratteri dei protagonisti. Non calca sulla “semplicità” di Nemorino né sullo “snobismo” di Adina e il gioco tra le parti risulta divertente e credibile: due giovani teneramente impacciati. Molto curata la gestione delle masse, impegnate in fermi immagine e movimenti rallentati laddove l'attenzione si deve concentrare; risultano molto belli e plastici i tableaux vivent di apertura e chiusura degli atti.

Jader Bignamini dirige la Filarmonica marchigiana mantenendo il giusto ritmo nella partitura seppure i suoni risultano ruvidi e avare sono le tinte: soprattutto è mancata una narrazione spumeggiate dove brio e incisività si alternassero a improvvisi e intensi abbandoni melodici, quel languore chiaroscurato pieno di passione che costituisce il punto inarrivabile della scrittura musicale donizettiana. L'opera è stata eseguita coi tagli di repertorio, dunque senza le lunghe ripetizioni delle sezioni conclusive degli assiemi, con questo snellendo la narrazione.

Prima dello spettacolo è stata annunciata l'indisposizione di Francesco Meli, un peccato considerato che Nemorino è un ruolo perfetto per la sua vocalità e di cui più volte ha dato prova superba; il tenore ha comunicativa spontanea, voce di bellissimo colore e ragguardevole volume, usata in modo assai intelligente per sottolineare ogni piega del personaggio (basti citare la resa di “essa legge, studia, impara” esaltati da un costrutto espressivo curato nel differenziarli nettamente) ma era evidente da subito una certa fatica nelle mezzevoci e nelle smorzature fino al quasi non cantare nella fine del primo atto e a frequenti colpi di tosse; dopo un intervallo durato più del previsto, Meli si è presentato in ribalta con il direttore artistico Alessio Vlad per riferire l'impossibilità a proseguire e prendere il meritato applauso caloroso del pubblico. Nel secondo atto abbiamo ascoltato Davide Giusti, giovane tenore marchigiano dalla capigliatura anni Settanta (in stile Branduardi), che, nonostante il confronto con il mezzo luminoso e importante di Meli, ha condotto il ruolo in modo appropriato; si è apprezzata la spontanea adesione al ruolo ma il timbro è risultato naturalmente lamentoso: se questo può aggiungere qualcosa alla Furtiva lagrima, non altrettanto nel resto della prestazione. Serena Gamberoni ha il giusto brio attoriale e la freschezza vocale per un'Adina di lusso che colpisce favorevolmente il pubblico: non soubrette, non forzatamente maliziosa ma giovane limpida e luminosa con tracce di malinconia d'amore (giustamente riferita alla tradizione del romanticismo belcantista). Meno in vista il Belcore di Alexey Bogdanchikov per scenicità, linea di canto e fluidità nell'emissione non valorizzata da una certa opacità (poco prima avevamo ascoltato una registrazione con Pietro Spagnoli, ruolo di riferimento). Spigliata e sempre in scena efficacemente la Giannetta di Marta Torbidoni. La naturale comicità e l'esperienza non bastano a Bruno Praticò per risolvere vocalmente il ruolo di Dulcamara (accompagnato in modo divertente dal mimo Alessandro Mor nei panni dell'assistente frenetico) che nel finale vola via in video come Cupido completo di alucce bianche. Con loro il Coro lirico marchigiano preparato adeguatamente da Carlo Morganti.

Teatro gremito, pubblico divertito, moltissimi applausi a scena aperta e un trionfo nel finale per tutti.

Visto il
al Delle Muse di Ancona (AN)