Lirica
L'ELISIR D'AMORE

Pane, amore, musica e fantasia

Pane, amore, musica e fantasia

Vi riammentate Pane, amore e fantasia, il celebre film diretto da Luigi Comencini nel 1953 ed ambientato in un immaginario paesetto abruzzese ? Una romantica storia dal sapore agrodolce, che vede Vittorio De Sica nei panni d'un maresciallo dei carabinieri di mezza età, tallonato in casa da un'irriverente Tina Pica, pronto a perdere la testa per la giovane ed avvenente Bersagliera - una travolgente Gina Lollobrigida - salvo poi accasarsi più ragionevolmente con la matura, ma ancor piacente ostetrica del paese interpretata da Marisa Merlini. Bene, in questo L'elisir d'amore diretto – registicamente parlando – da Fabio Sparvoli, pare ritrovare un po' gli stessi luoghi, le stesse facce, e gli stessi bisticci d'amore. Dico questo perché il regista romano (del quale abbiamo assai apprezzato, un paio d'anni, fa un'intensa Napoli milionaria di Rota per il circuito toscano) ha avuto la felice idea di calare il capolavoro donizettiano nel nostro secondo dopoguerra, riprendendo pari pari le atmosfere di quelle prime commedie all'italiana che davano del nostro paese – ancora in bilico tra i disastri del conflitto appena finito, e le prime avvisaglie del futuro boom economico – un ritratto alquanto idilliaco e rassicurante. Quindi, come la vede Sparvoli, nel sereno borgo agreste quale tratteggiato da Felice Romani qualcosa cambia, e Belcore diviene un graduato della 'Benemerita', con tanto di sciabola e pennacchio, Dulcamara arriva in piazza a bordo d'una fiammante Topolino gialla, Adina fa il suo ingresso in scena con un vistoso abitino Anni Cinquanta: è un'immagine non del tutto originale - cose così ne abbiamo già viste -  ma senz'altro ben risolta, ravvivata poi com'è da piccole trovate sceniche mai fuor di luogo, come la 'barcaruola' recitata a mo' di burattini dal Senatore Tredenti e dalla Nina Gondoliera. Una rilettura maliziosa e divertente, buona a rimettere a nuovo tutte le tinte dell'intreccio, e con il dono d'evidenziare ogni singolo carattere senza sconvolgere l'impianto generale, né fare alcuna violenza alla musica.
Peccato solo che, mentre la regia di Sparvoli elabori a modo suo un racconto fresco e vivace, la plumbea direzione del giapponese Ryuichiro Sonoda proceda in senso opposto, mostrandosi monotona nella scansione, limitata nelle alternative dinamiche, avara di colori; insomma, pur se magari attenta al dettaglio strumentale, nell'insieme priva di ritmo, d'ogni qualsivoglia briosità e persino della necessaria tenuta narrativa. Una concertazione unidirezionale, ma in quale direzione non era dato ben di capire: l'impressione, sotto sotto, è che il particolare clima dell'opera italiana – con i suoi mezzi caratteri, la levità delle storie, il fluire delle melodie, la trasparenza della strumentazione - restino alquanto estranei al maestro giapponese, che due anni seppe dirigere, sempre qui a Trieste, un Rape of Lucretia di qualità: ma parliamo di Britten, e del Novecento, insomma di un altro mondo. Impossibile poi non avvertire occasionali discrasie tra buca e scena, che non credo imputabili né all'ottima orchestra del Verdi, né ai cantanti: i quali, da canto loro, si son tutti lodevolmente adoperati per consegnare uno spettacolo convincente e di buon livello qualitativo, anche se con risultati non sempre uniformi.
Roberta Canzian sa cogliere il risultato di un'Adina civettuola e graziosa, perché è un personaggio che ben conosce avendolo interpretato più volte in scena; sa cioè come ben disegnare una donna volitiva, capricciosa e languida al tempo stesso; ed essendo poi dotata di cospicua musicalità, sa infondere i giusti colori alle singole frasi. Questo pur se la sua vocalità – ed è un peccato - non fa certo gridare al miracolo quando si tratta di affrontare, con cristallina chiarezza e convinzione, acuti ed agilità connesse alla parte. Il giovane tenore uruguayano Leonardo Ferrando convince a mezzo: quando si tratta di recitare, mostra bella disinvoltura e centra in pieno il carattere ingenuo e impacciato di Nemorino; fa mostra di una discreta impostazione ed un timbro di voce per sé niente male, ma i guai cominciano presto, cioè quando si tratta di salire in alto. Perché  la voce per la sua leggerezza tende a sbiancare, e quando serve sostenere note lunghe l'emissione è minata da un fastidioso vibratino, un certo tremolio nell'emissione che va meglio controllato. Filippo Polinelli raffigura con sorniona ironia e la giusta dose di improntitudine un Belcore divenuto carabiniere, grazie a quella voce generosa, articolata nelle tinte, ferma nella gamma e soprattutto sempre ben amministrata, che costituiscono un patrimonio da non scialare. Il vitalissimo Dulcamara di Domenico Balzani sbanca la scena, per l'irruenza e la giocosità del suo personaggio, ma manca un po' il bersaglio di un personaggio totalizzante perché trascura due non piccole cose: un fraseggio più articolato e vaporoso, ed un più elegante sillabato. Vittoria Lai tratteggia abbastanza bene la figura di Giannetta, con la sua personcina ed il timbro da sopranino leggero; pittoresca e spassosa la figura mimica del servitore/autista di Dulcamara affidata all'attore Mario Brancaccio.
Molto semplice l'apparato scenografico predisposto da Saverio Santoliquido, consistente essenzialmente in un alto edificio a terrazza, che gira di orientamento da destra a sinistra passando da un atto all'altro; di contorno, qualche tocco d'arredo – come delle balle di paglia - che individua subito l'ambito campagnolo della vicenda. Giocati prevalentemente sui colori caldi – giallo, rosso, arancione – i gradevoli costumi di Alessandra Torrella, efficace light design di Jacopo Pantani, per un allestimento nato due anni fa sulle scene del Teatro Regio di Torino. Il Coro del Verdi, preparato dal suo nuovo direttore Fulvio Fogliazza – che con questo Elisir esordisce nella città giuliana – è parso come sempre all'altezza del suo compito.
Il pubblico triestino – che ha affollato ogni ordine di posti del Verdi - ha tributato allo spettacolo ed alla compagnia più che meritati applausi.
(Foto di Fabio Parenzan)

Visto il 20-12-2015
al Verdi di Trieste (TS)