L'Antigone di Sofocle proponeva la dualità ragione ufficiale - ragione personale, il contrasto tra legge divina e legge statale. L'Antigone dei Motus è un “contest” che cambia a seconda del luogo in cui ci si trova, in questo caso l'ovale dell'anfiteatro romano di Urbs Salvia: per i giovani è certamente un modo nuovo di affrontare i classici nella suggestiva luce naturale di un tramonto estivo (la recita è poco dopo le otto di sera).
I due protagonisti sono separati da una barriera di spettatori, seduti affrontati al centro dello spazio e costretti a una visione parziale, a girare la testa di qua e di là, nelle due metà in cui si trovano ad agire, di solito individualmente, i due intensissimi attori. C'è il rifiuto della frontalità per una visione “altra”.
L'andamento è frammentario, i gesti dei due sono alternati a riflessioni che spiegano quei gesti oppure che da quei gesti hanno origine. La tragedia classica è riportata a tensioni e sentimenti del presente. Antigone, Ismene, Eteocle, Polinice si vestono della rabbia e dello smarrimento degli adolescenti di oggi. Gli spettatori sono di fronte a un viaggio dentro i personaggi, divenute icone post-moderne inquiete ed inquietanti. Icone che parlano con i corpi, una fisicità che si fa linguaggio, che spiega le cose e che, al tempo stesso, anche le distrugge.
Correre verso gli spettatori, essere intorno al fuoco, essere dentro e fuori i personaggi, dentro e fuori da sé stessi, essere abitati dai personaggi che si mescolano con il proprio io. Lei è Silvia Calderoni, che fa Antigone, Silvia che è Antigone, ma anche Eteocle. Lui è Benno Steinegger, Benno è Polinice ma anche Ismene. Si mescolano i versi dell'Antigone di Brecht alla narrazione della storia sofoclea e al presente degli interpreti, al loro essere attori prima che personaggi.
“Sei pronto?” “Pronto a cosa?” “Pronto ad andare.”
L'inizio è con lunghi respiri, gemiti, un prolungato ansimare così forte che diviene tangibile. Polinice brucia una bandiera, il gesto della ribellione: ribellarsi verso tutto ciò che Creonte rappresenta (“Se ti ribelli, è perchè non puoi dimenticare”). La necessità di trasformare l'indignazione morale in azione. Polinice che attacca, Polinice che diserta. Antigone e Polinice che lottano dentro uno stesso corpo. Antigone è un uccello dalle ali troppo corte. Antigone seduta sul casco, la schiena nuda, a scaldarsi davanti a un fuoco di pochi cartoni. Antigone e Polinice. Antigone e Ismene, Eteocle e Polinice. Certe azioni hanno più forza nella solitudine, a raddoppiarle si perde la loro forza.
Antigone c'è, ma arriva sempre troppo tardi. Eteocle si mette la divisa e va a combattere, ad uccidere Polinice (anche se le versioni sul duello sono diverse nelle fonti letterarie). Polinice è morto a terra, Eteocle in piedi che pare crocifisso: silenzio totale, solo i rumori della natura si odono. Due fratelli stesi uno sull'altro, a croce. Come può Antigone non difendere suo fratello? Non c'entra se quello che lui ha fatto sia giusto o sbagliato. Ismene è lucida e razionale nel chiedere: Polinice è ripudiato o abbandonato? Bisogna violare la legge o la fede? Ismene parla di spalle, lo sguardo a terra. Antigone parte dal fondo dell'arena e corre verso il pubblico, poi in proscenio urla “Io sono Antigone e vaffanculo”. Ma non può dimenticare il fratello.
Terrorista e disertore Polinice col fazzoletto sul viso tra voci urlate al megafono e fumogeni, poliziotto Eteocle col casco e la tuta integrale. La sete di potere è insaziabile: “Chi insegue il potere beve acqua salata”, dice Polinice. Polinice muore, Antigone lo piange sola e lontana; lui la raggiunge e l'immagine frammentata si ricompone: due corpi ne fanno uno, non c'è più dualità, non più doppio. Antigone ricopre il corpo di Polinice: non terra ma le sedie tolte agli spettatori che restano in piedi. Fino a quando Polinice risorge nudo, indifeso, quasi impaurito, certamente in imbarazzo. Poi la raggiunge e cantano insieme con una tristezza vibrante “Let the sunshine in”, quell'icona della “fratellanza” non violenta, una canzone lenta e struggente, come quelle due fiammelle che restano sole al buio. Solitudine immensa.
“La casa a volte ti protegge, a volte ti divora”.