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LEZIONI AMERICANE

In una scenografia che rappr…

In una scenografia  che rappr…
In una scenografia che rappresenta uno studio moderno, tra libri e quadri, Giorgio Albertazzi detta note e appunti su alcuni valori che vuole traghettare nel terzo millennio a una sua giovane assistente (Roberta Caronia) intervallato dall'intervento musicale (timido a dire il vero) della violoncellista Rossella Zampiron. Si tratta delle sei proposte per il nuovo millennio di Italo Calvino che costituiscono il corpus di conferenze che lo scrittore doveva tenere per le «Charles Eliot Norton Poetry Lectures» dall'università di Harvard se non fosse scomparso prima, pubblicate qualche anno dopo da sua moglie Esther con il titolo di Lezioni americane. Albertazzi ripropone, con alcuni tagli e alcune aggiunte personali, la prima delle cinque conferenze di Calvino (della sesta, mai scritta, esiste solo il nome) quella dedicata alla leggerezza, dribblando per tutto lo spettacolo sull'ambiguità di fondo che lo fa parlare con le parole di Calvino alternandole a quelle sue. Un'idea spiazzante ma che funziona: invece di mummificare la conferenza di Calvino, celebrandola con la magniloquenza dell'Albertazzi attore, il regista Orlando Forioso incarica l'Albertazzi interprete di incarnare le parole di Calvino dando loro vita e proferendole come scaturissero da un lavoro in fieri, sporco privo della ufficiale autorevolezza dell'opera consegnata ai posteri. Rassicuriamo subito i puristi: Albertazzi conosce pienamente Calvino (cita anche alcuni brani del famoso saggio Il midollo del leone scritto nel 1955, nel quale lo scrittore parlava di impegno politico e letteratura) e gli argomenti da lui affrontati, le sue glosse sulla leggerezza, sono pertinenti, godibili, forse in alcuni casi eccessivamente sbilanciate verso il repertorio dell'Albertazzi attore (memorie di Adriano) con qualche timido intervento in video (Fra tutti primeggia, l'anno scorso a Marienbad rigorosamente in lingua originale francese), voluto dal regista Orlando Forioso, ma sempre pertinenti e mai del tutto arbitrari rispetto il testo originale. Un attore capace di proporre il monologo più abusato del teatro (quello shakespearino dall'Amleto) senza scadere nell'ovvio con una personale rilettura del testo, nella quale la famosa apertura Essere o non essere diventa chiusa. Durante le quasi due ore di spettacolo Albertazzi spazia, grazie a Calvino ,da Guido Cavalcani a Dante, da Shakespeare a Lucrezio, da Cervantes a Ovidio, cercando esempi di quella leggerezza che non è mai frivolezza o superfluo ma è un rapporto non dogmatico con il mondo, tra scienza, filosofia e letteratura, come il mito di Perseo che per affrontare Medusa e il suo sguardo pietrificante ne guarda il riflesso sul suo scudo. Con queste coordinate letterarie Albetazzi naviga a vista su un mare che conosce bene del quale Calvino offre nuove sponde per un discorso a tutto campo sul teatro, sulla letteratura e sulla poesia. Ne scaturisce un discorso complesso (come complessa è la conferenza originale) che Albertazzi glossa e alleggerisce con l'aiuto della giovane assistente (che, ogni tanto, manovra una videocamera), la quale prende appunti, chiede delucidazioni, offre sintesi provvisorie, per certi passaggi che Calvino aveva dato per scontati rivolgendosi a un uditorio diverso da quello che popola la platea. Il pubblico. Questo è un altro aspetto piacevolmente sorprendente di questo Lezioni americane. Nonostante sia uno spettacolo non facile la sala è piena, alcuni siedono su normali sedie aggiunte in fondo alla platea (niente paura, i vigili del fuoco hanno dato l'autorizzazione), il teatro è tutto esaurito, sono state aggiunte due repliche straordinarie per accontentare le ulteriori richieste. Si ripete il successo già riscosso dallo spettacolo nel 2004, quando esordì a Parigi, per la stagione del Théatre des Italiens diretta da Maurizio Scaparro, rimanendo in scena per 21 giorni, ripreso solo lo scorso autunno in tutta Italia con gli stessi risultati. Alla fine dello spettacolo, quando si trattiene col suo pubblico, Albertazzi nota che in platea (e in galleria...) ci sono tantissimi giovani. Giovani, aggiungiamo noi, venuti ad ascoltare Calvino, venuti a vedere come il teatro tratta di letteratura e di cultura in maniera intelligente e niente affatto paludata. Un'ennesima dimostrazione che il teatro è tutt'altro che morto e che sa muoversi, pur tra mille precarietà, con le proprie gambe anche quando c'è chi (sciagurato) afferma la sua inutilità e propone di cancellare i già più che esigui finanziamenti pubblici. Mentre gli altri paesi europei investono per la cultura quasi due punti percentuali di PIL l'Italia si attesta su di un misero 0.28 per cento. Una vergogna, uno schiaffo a tutti quelli che, giovani o non, hanno riempito il teatro, e lo continuano a fare nonostante tutto. Lo spettacolo di Albertazzi tasta così il polso al popolo di spettatori che è chiamato a compiere una rivoluzione, pacifica ma determinata, per riaffermare che la cultura è un diritto, non un lusso superfluo come pretendono in maniera tutt'altro che leggera i nostri politici. Lezioni americane è lì a dimostrarlo e di questo Calvino sarebbe stato contento. Roma, Teatro Ghione dal 24 marzo all'8 Aprile 2009
Visto il
al San Leonardo di Viterbo (VT)