Alessandra Ferri, dopo la compianta Carla Fracci, è la nuova sempre splendente stella del balletto, protagonista di L’Heure Exquise. In origine una variazione artistica creata da Maurice Béjart ispirandosi a Oh, les beaux jours, opera teatrale di Samuel Beckett, l’opera viene qui portata in scena nella revisione curata da Maina Gielgud, che fu solista del Ballet du XXème siècle del celebre danzatore e coreografo marsigliese.
Immaginata nel 1998 per la Fracci, quest’ora squisita, tanto dura anche lo spettacolo, nella sua versione proposta in questa stagione sui palcoscenici italiani celebra i quarant’anni di carriera di Alessandra Ferri innestando nel copione e nelle coreografie vissuti e dettagli personali appartenenti alla grande danzatrice italiana.
La vita di un'artista racchiusa in un tempo da clessidra
Il sipario si apre davanti a una montagna rosa di scarpette da danza, che evoca la celebre collina di sabbia da clessidra, sepolcrale, ideata da Samuel Beckett; al centro in alto sta Alessandra Ferri, affondata fino alla vita, come la Winnie del drammaturgo irlandese, in cimeli da ballerina e personali che ricordano tanto le case di bambola.
Di certo quella che racconta a voce, confessando che le sarebbe piaciuto fare l’attrice, e poi subito dopo danzando, non è stata la vita per procura destinata alle bambole, ma un’esistenza votata all’impegno, in gran parte al lavoro e alla fatica che una professione come la sua, vissuta ai più alti vertici, inevitabilmente richiede.
Lieve è il tono della malinconia che attraversa il testo e diversi passi di danza che la Ferri intraprende con maestria assieme al compagno di scena, il bravissimo Thomas Whitehead, ballerino-attore con un lungo vissuto artistico — in scena marito di Winnie, ma anche devoto partner di danza e a tratti cavalier servente.
L’heure exquise che arriva annunciata dai toni del grigio nel celebre tema musicale è attraversata più da ricordi di felicità, parola pronunciata più volte dalla Ferri nel monologo, e da una gioia di ballare che traspare intatta anche dopo una lunga carriera. Perennemente fermo all’adolescenza appare da lontano anche il corpo da carillon, scolpito dal sudore, delle ballerine di danza classica.
Passi e movimenti della Ferri sono pieni di padronanza, agili e docili, gli acciacchi dell'usura solo mimati per doveri di copione. La gestualità e le frasi che gradualmente la trasformano in un pupazzo muto, velato, sono precedute da suoni di campanelli e da silenzi importanti.
Gli oggetti di scena più importanti scelti da Roger Bernard, oltre alle innumerevoli scarpette da punta rosa, sono un ombrello rosso, la sbarra e uno specchio, questi ultimi compagni di vita più croce che delizia per le ballerine; fa la sua apparizione anche la pistola messa in mano a Winnie da Beckett, forse nell’unico momento stonato della pièce, almeno in apparenza, perché l’insieme è più votato alla gratitudine, alla leggerezza e al ricordo gioioso che al dramma.
La musica è un montaggio sui temi di Anton Webern, poi di Gustav Mahler e di Mozart, ma fanno la loro comparsa doverosa anche l’aria di Lehár, dalla Vedova allegra, da cui è tratto il titolo, e Tea for Two, da No, no, Nanette.
Una mise en danse per corpo e voce
Glorie passate e giorni felici sono narrati da Alessandra Ferri con corpo e voce. Quella che il pubblico conosceva meno, la voce, è esile, aggraziata, ancora più bambina della figura che danza in scena.
L’artista non è nuova nell’interpretazione di personaggi femminili che danno il giusto valore alla loro età, lo ha fatto con Virginia Woolf, Eleonora Duse e anche con Léa, di Colette. Qui nella veste di se stessa fa virare un testo dai forti chiaroscuri, che paralizza, in un racconto che ha l’immagine della levità.
Thomas Whitehead non ha il ruolo di un partner secondario, la sua figura di uomo che ha nei confronti della ballerina infragilita, che con gli anni o nello spazio di un’ora diventa di pietra, gesti delicati e sempre ammirati, discretamente compassionevoli, rispecchia nella drammaturgia la giusta traiettoria di sguardo, interpretando anche quello del pubblico, da rivolgere a questa intensa mise en danse.