L'IGNORANTE E IL FOLLE

“L’esistenza è distrazione. N…

“L’esistenza è distrazione. N…
“L’esistenza è distrazione. Noi esistiamo perché ci distraiamo dall’esistere”. L’Ignorante e il folle, prima nazionale prodotta da Theatriditalia al Teatro dell’Elfo di Milano, è la traduzione del testo teatrale del drammaturgo austriaco Thomas Bernhard rappresentato per la prima volta a Salisburgo nel 1972. La pièce teatrale avvolge lo spettatore per novanta minuti in un vortice emotivo di sonorità che sorprendono alle spalle, di spazi scenici che passano dal rosso fuoco al porpora senza via d’uscita (non c’è una via di fuga, una finestra, una prospettiva visiva) e di voci da basso-baritono che spazza via la polvere del racconto e porta alla luce lo splendore di una struttura narrativa meta-reale, che ha il colore dell’impotenza e la suggestione delle verità universali. Con L’Ignorante e il folle siamo di fronte ad una apologia del teatro nei confronti della vita, che non è noiosa pedissequa elaborazione filosofica ma che diventa sensoriale, passando repentinamente da lampi di luce a improvvisi bui totali; affidata alle parole dei tre protagonisti che tagliano come un bisturi gli strati del tessuto dell’umano. Si apre la scena e davanti la platea è disposta a semicerchio in modo da disegnare, con il camerino a semicerchio della scenografia, drappeggiato di tende rosse (il colore simbolo del teatro), un ideale cerchio con gli spettatori. Il testo è in due atti e con tre protagonisti, un medico (narratore omnisciente ma anche terzo protagonista), un padre cieco e ubriacone (l’ignorante) e sua figlia, eccellente cantante (il folle) e due comparse. Il ritmo suadente del medico-narratore e la bravura di Ferdinando Bruni mettono in piedi una lucida e folle disquisizione sulla vita. Il racconto della tecnica dell’autopsia (operazione post-mortem che esamina tutte le cavità del corpo per determinare le cause della morte) diventa la metafora per esporre la filosofia nichilista di Thomas Bernhard. Le sue parole sono verità così brutali da far venire i brividi, il suo pensiero è lucidamente disfattista, dissacratore, senza speranza. “L’intelligenza è una tortura orribile” “Nell’angoscia troviamo noi stessi” “Non è sua figlia ad essere spietata, è la vita stessa ad essere spietata” La voce narrante sfiora anche il tema del rapporto padre-figlia, affetto-individualità. Ida Marinelli interpreta la figlia, una acclamatissima soprano che sta per interpretare, chiusa nel suo camerino, Il flauto Magico di Mozart.
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