Scoprire e liberare la diversa sessualità nascosta dentro di sé, a costo di morire: questo il tema di Lili Elbe Show, lo spettacolo di danza che il tandem Riva&Repele ha portato in scena al Cantiere d'Arte di Montepulciano.
Il tema, la storia dal fine tragico del paesaggista danese Einar Wegener, nato nel 1882, e della sua incoercibile spinta alla transessualità – anche se si era felicemente sposato nel 1904 con l'illustratrice Gerda Gottlieb - che lo portò presto non solo a vestirsi e comportarsi da femmina, assumendo il nome di Lili Elbe; ma anche a sottoporsi in seguito ad una serie di interventi chirurgici al fine di diventare fisicamente una donna, in tutto e per tutto. Persino con un trapianto di utero ed ovaie, per divenire anche una madre. Troppo, per la scienza dell'epoca: e difatti Einar/Lili morì nel 1931, a pochi mesi dall'ultimo intervento per sopravvenute, inevitabili complicazioni.
Prima ancora, un romanzo ed un film
Questa singolare figura di transgender ante litteram, che ha ispirato il romanzo La danese di David Ebershoff (Guanda 2001) ed il film Danish girl di Tom Hooper (2015), ha attirato l'attenzione del duo formato da Sasha Riva e Simone Repele – l'uno del 1991, l'altro del 1993, cresciuti entrambi all'ombra dell'Hamburg Ballet di John Neumeier. I quali da stimati ballerini si sono pian piano evoluti in validi coreografi, mettendo su dall'anno scorso un'associazione artistica, “Riva & Repele danzArte” con la quale, avvalendosi del coordinamento artistico di Azzurra Di Meco, hanno varato questo intrigante spettacolo – il loro primo impegno a serata intera - presentato in anteprima al 46° Cantiere Internazionale d'Arte, sotto le stelle lucenti di Piazza Grande.
Cinque meravigliosi danzatori per Lili
Lili Elbe Show è un bellissimo, appassionante racconto di danza a cinque sulla fluidità di genere – tema attualissimo - in cui Simone Repele è una sorta di espressiva 'voce narrante', che guida la scena; Sasha Riva impersona a meraviglia, con uno sguardo visionario e movimenti vorticosi, la sofferta trasfigurazione di Einar in Lili, la cui prorompente anima femminile è resa con melanconica grazia dalla minuta, guizzante Yumi Aizawa.
L'étoile Silvia Azzoni raffigura l'amata Gerda, la compagna di una vita che accettò in pieno, e con amore, la sua metamorfosi e l'esuberante personalità; e Jamal Callender appare una sorta di demone nero, nerboruto e flessuoso, che interviene alla fine per portarsi via la sua anima.
Una narrazione che stringe il cuore
E' una narrazione avvincente, quella che ci viene proposta, vedendo come la protagonista pian piano scopra la sua diversa collocazione sessuale, ed emerga prepotente la volontà di viverla, senza remore né senza timori; coreografata da Riva&Repele con immaginifica fantasia - ed interpretata da tutti con emozionante trasporto - infondendovi un fortissimo pathos e molta poesia. La vediamo posta in un largo palcoscenico, dominato da una grande cornice priva della sua tela: una sliding door da cui entrare ed uscire in continuazione, simbolo delle mille diramazioni d'ogni esistenza.
A sostenere il fluire della danza qualche base registrata – la voce del folk singer Dan Haugaard, la musica degli Folkstow, musicisti danesi d'antan - ma sopra tutto la musica eseguita dall'Ensamble strumentale della Scuola di Musica di Fiesole, condotta con perizia da Marc Niemann. Molto Bach, arrangiato se serve da Paolo Gorini, autore pure di un pezzo inedito (Sløt) che accompagna, all'inizio, la breve presenza – una sorta d'onirico preludio - di un gruppo di giovanissime danzatrici delle scuole di ballo di Montepulciano, Chiusi e Sinalunga.
Scene e costumi li dobbiamo ad un team di allievi dell'Accademia di Belle Arti di Santa Giulia in Brescia, coordinato dal regista Giacomo Andrico; straordinario il gioco di luci ideato da Claudia Dastoli e realizzato dal Guidi Livi Lighting Lab.