Lirica
L'INCANTATRICE

''L'incantatrice'' di Tchaicovskij, un'opera ricca e potente

''L'incantatrice'' di Tchaicovskij, un'opera ricca e potente

L’incantatrice è senz’altro un titolo poco noto nel catalogo di Tchaicovskij, ma si commetterebbe un errore a definirla una composizione 'minore'. A metà strada tra Eugenio Onegin e La dama di picche, il lavoro venne presentato per la prima volta a San Pietroburgo nel 1887 e ottenne un successo piuttosto tiepido. La costruzione drammaturgica, frutto di faticosi interventi di sgrossamento, presenta qualche squilibrio: a un primo atto affollato, compatto e magistralmente congegnato seguono due pannelli più intimi e statici e un segmento finale convulso, caratterizzato da toni fin troppo esasperati. Ma nel complesso l’opera è ricca e potente, l’orchestrazione è scintillante, i personaggi sono vivi e veri. Al centro della vicenda c’è Nastas’ja, detta Kuma; la sua straordinaria capacità di seduzione, che taluni non esitano a considerare effetto di stregoneria, è un’arma e insieme una maledizione che attira tutti i personaggi in un vortice di pulsioni e rancori, di passioni e vendette, di amore e morte. Intorno alla protagonista ruotano il vecchio principe Nikita Kurljatev, suo figlio Jurij e la principessa madre Evpraksija Romanovna, simboli di una società rigida e stanca che inesorabilmente si sfalda e si sgretola.

Molto bella, perciò, è l’intuizione del regista David Pountney che, nel primo allestimento italiano dell’opera, insinua lo spettro della Rivoluzione d’Ottobre: Paísij, vagabondo in abito di monaco, è un allucinato Rasputin, e i popolani che irrompono nel secondo atto brandiscono falci e martelli. Lo spettacolo è punteggiato da idee felicissime che trasformano la scena in una sorprendente fantasmagoria. Ciò è vero specialmente per il primo atto: il fascino di Kuma si materializza in un fiore sgargiante, che funge da contrassegno delle sue sulfuree ancelle e diventa di volta in volta calice, spada, bacchetta magica; la prima apparizione della protagonista, che cala dall’alto su una dormeuse, strizza l’occhio da una parte alla grande tradizione della scenotecnica barocca e dall’altra all’avanspettacolo.
Le intelligenti invenzioni registiche si dipanano all’interno di una scena semplice e geniale, ideata da Robert Innes Hopkins. Un unico interno funge da osteria e dimora patrizia, alcova e foresta. Il tetto si scoperchia e dischiude inattese gallerie dalle quali il coro un po’ partecipa e un po’ osserva. Le pareti si ammantano di veli per accogliere le effusioni degli amanti, ma poi si inclinano e si fanno sghembe, pendenti, incombenti e minacciose per annunciare e infine accompagnare la dissoluzione finale di tutti i legami in un caos irredimibile.

La bacchetta di Zaurbek Gugkaev svela i segreti della partitura e cava colori smaglianti dall’orchestra sancarliana. Un po’ in affanno appare invece il coro, che in più di un passo rincorre il gesto del direttore e incappa in qualche sbavatura di troppo. Bravi i cantanti, a cominciare da Marija Bajankina nel ruolo di Kuma: la sua voce perfettamente intonata trova risonanze preziose e stende intorno al personaggio una cortina di misteriosa sensualità. Ljubov’ Sokolova si rivela capace di restituire la severa complessità della principessa. Anna Barhatova tratteggia con efficacia il personaggio di Polja, che sembra possedere, sia pure in scala ridotta, la stessa capacità incantatoria della protagonista. Sul versante maschile si segnalano il bel timbro di Nikolaj Emcov (il principe Jurij), la sicurezza di Jaroslav Petrjanik (il principe Nikita Kurljatev) e la presenza scenica di Aleksej Tanovickij (Mamyrov e Kud’ma).
Il pubblico accoglie con entusiasmo la rara e raffinata proposta e, dopo un temporaneo disorientamento indotto dalle inconsuete morfologie della melodrammaturgia russa, saluta tutti gli interpreti con applausi calorosi e convinti.

 

Visto il 25-02-2017
al San Carlo di Napoli (NA)