Entriamo al Teatro Sala Uno e siamo subito catapultati dentro la rappresentazione, infatti dobbiamo necessariamente passare sul palcoscenico per andare a prendere i nostri posti a sedere.
Buio in sala, comincia lo spettacolo in una fusione tra teatro e cinema, che ci accompagna per tutta la durata della rappresentazione. Mentre gli attori interpretano le loro parti, sullo schermo scorrono immagini che fanno da sottofondo a tutti i momenti salienti del dramma. Le immagini hanno la funzione di descrivere e rappresentare quello che gli attori e il regista vogliono dire al pubblico, il loro stato d’animo, a volte sono immagini fisse, come per esempio un occhio o un albero, altre volte sono mosse, come per esempio il mare in tempesta o scene in cui è quasi sempre la natura con i suoi movimenti e la sua forza ad essere la protagonista.
È così che viene raccontata la tragedia di un uomo, che pone domande sulla vita e cerca risposte, attraverso le letture di alcuni Canti dell’Inferno, passando per le melodie del Purgatorio, fino alle sinfonie del Paradiso. Nei racconti di questo individuo si intravede la fragilità dell’uomo moderno, intrappolato nella vita quotidiana, in balia di se stesso, che riesce a trovare la sua libertà solo quando esce da sè e parla all’altro.
Il protagonista ritrova se stesso nella storia di Paolo e Francesca, in quella del Conte Ugolino e in tante altre raccontate da Dante Alighieri nella Divina Commedia, che diventa lo strumento di conoscenza per eccellenza, utile per questo viaggio attraverso la psiche umana, con lo scopo di raggiungere la riaffermazione del proprio io dopo l’autodistruzione. L’uomo chiede aiuto alla cultura per affrontare e risolvere i suoi drammi esistenziali…un messaggio che fa riflettere, soprattutto in questi tempi in cui si rimarca continuamente come la cultura non dia da vivere.