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LIOLà

Liolà, Pirandello e la versione umoristica di Francesco Bellomo

Liolà
Liolà

Liolà è la commedia più peculiare dell'umorismo pirandelliano; in quest'opera campestre, l'inosservanza del formalismo è compiuto in allegria, inconsapevolmente. Enrico Guarneri e Giulio Corso interpretano i loro personaggi in maniera antitetica.

Sarà che Liolà è stata, e continua ad essere, una delle commedie di Luigi Pirandello fra le più rappresentate; sarà che a più di cento anni dal debutto (1916), le versioni viste in scena sono state fra le più poliedriche; sarà che quasi nulla c'è più da aggiungere o da inventare in una commedia originale, di autentica spontaneità che poco o niente contiene dell'intellettualismo del teatro borghese. Sarà forse per questo che l'adattamento e la regia di Francesco Bellomo sono improntati all'umorismo pirandelliano e alla fedeltà del testo iniziale vergato dal drammaturgo di Agrigento.

A cominciare proprio dall'espressione linguistica dialettale, l'unica parlata possibile nell'ambientazione campestre della commedia, l'unica parlata concepibile che possa essere usata dal contadino Liolà, moderno dio Pan trasgressore di ogni regola dell'organizzazione sociale, di ogni istituzione civile, compresa la famiglia. Impenitente dongiovanni di campagna, Liolà però accoglie i figli che nascono dalle sue scostumate relazioni. Per la sua mamma che li accudisce e per il suo agreste novero, i bambini sono il frutto della gioia di vivere e di amare, ma per la morigerata classe padronale sono il frutto della dissolutezza immorale.

Pirandello e gli influssi verghiani della roba

Liolà, nata dalla novella La mosca e da un capitolo del romanzo Il fu Mattia Pascal, risente dell'influsso di Giovanni Verga, della sua novella Jeli il pastore e di Mastro don Gesualdo. In Liolà ritorna la “roba” che rischia la polverizzazione fra sconosciuti parenti se al possidente Simone Palumbo non nasce un erede, quell'erede che il sessantenne Enrico Guarneri non riesce ad ottenere dalla giovane moglie Mita (Caterina Milicchio). Sarà una surroga, il sostituto Liolà – Giulio Corso, che donerà al padrone sterile una discendenza, anzi due.

Enrico Guarneri e Giulio Corso interpretano i loro personaggi in maniera antitetica: quanto convenzionale, quasi retorica, e antiquata è la recitazione di Enrico Guarneri, tanto moderna, per non dire attuale, è l'interpretazione di Giulio Corso che si muove, danza, canta e declama con stili da musical moderno. Vero è che Francesco Bellomo sposta i riferimenti temporali e drammaturgici negli anni '40 ma tutti i personaggi sembrano essere senza epoca, la collocazione temporale si sgancia da ogni riferimento per spaziare fino ai giorni nostri.

La contesa fra forma e vita diventa scontro generazionale

Liolà è la commedia più peculiare dell'umorismo pirandelliano; in quest'opera campestre, l'inosservanza del formalismo è compiuto in allegria, inconsapevolmente; la gioia di vivere di Liolà rende la sua trasgressione attraente agli occhi delle giovani contadine (Federica Breci, Giorgia Ferrara, Sara Baccarini, Alessandra Falci); è quasi una ribellione agli anziani, ai depositari del formalismo agreste e del suo assetto familiare. Soprattutto è l'opposizione alla logica dell'opulenza rappresentata della Za Croce, interpretata da una grande Anna Malvica.
Ma resta sempre una contrapposizione espressa con lievità, con l'allegria che può essere solo dei giovani, con il gaudio di cui si priva soltanto Tuzza (Roberta Giarrusso), incapace per orgoglio di abbandonarsi al sentimento.

Allestimento spettacolare per un classico senza tempo

L'allestimento scenico e i costumi di Carlo De Marino, le musiche di Mario D'Alessandro e Roberto Procaccini, la comprovata esperienza nel musical di Giulio Corso e la comicità elementare ma collaudata di Enrico Guarneri supportano le linea guida dell'adattamento di Francesco Bellomo e riescono a sostenere il grado di divertimento del pubblico che sembra aver apprezzato la... sostenibile leggerezza dello spettacolo.

Visto il 02-04-2020
al Pirandello di Agrigento (AG)